Il Capo
dello Stato prende il tram, il papa esibisce scarpacce, il sindaco Marino va in
bicicletta: tutti all’insegna del “sono uno di voi”. Bene, si cerca di
eliminare ogni “segno” di diversità, di superiorità, di aristocrazia. Se
riflettiamo, il discorso implicito è che non abbiamo più nessuna fiducia che le
“autorità” meritino ammirazione e siano degne di quelli che vengono chiamati
“privilegi”: già è molto che non si taglino teste a sovrani o altri personaggi altolocati.
Ma questo non è indolore: tutti sanno che i Re di Francia, gli imperatori del
Giappone, i papi del passato erano uomini con le loro debolezze, i bisogni
fisiologici, le malattie, e proprio per questo quello che è/era importante è il
riuscire ad andare al di là di questo livello, con una costruzione sociale capace
di rendere nascite, morti, matrimoni, funerali, abitazioni, abbigliamento, quotidianità, “sacre rappresentazioni”, cioè modelli di raggiunta perfezione, in grado di soddisfare
un bisogno di completezza ed eccellenza che i “comuni” mortali non possono
individualmente raggiungere, ma possono insieme contribuire a costruire. Il
bisogno di pienezza è un bisogno autentico come quello di eguaglianza e
giustizia e il suo occultamento non andrebbe presentato come una conquista
(nella finta ammirazione di una ipotetica catto-sobrietà da parte di lieti
gazzettieri), ma come una grave perdita, ancorché motivata dalla crisi della
rappresentanza e del valore delle élite che caratterizza il nostro tempo.
Vorrei ricordare, a questo proposito, le parole insospettabili di A. Camus che
diceva «Ogni società si fonda sull’aristocrazia, perché essa, se è tale, è
esigenza nei confronti di sé stessa, e senza questa esigenza ogni società muore».
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