Da quando Zygmunt Bauman ha impiegato con successo la
metafora della “liquidità” utilizzandola nelle sue analisi di vari aspetti della
cultura in cui viviamo (da cui espressioni come modernità liquida, vita
liquida, relazioni liquide...), gli editori (non diamo la “colpa”
all’autore...) non esitano a pubblicare tutto quanto porti la sua firma,
incuranti del valore del testo.
È il caso di Conversazioni su Dio e l’uomo, tr. it. Roma-Bari,
Laterza, 2014, in cui il sociologo dialoga con Stanislaw Obirex, teologo ed
ex-gesuita. Tenendosi in una postura ambigua nei confronti del sacro e della
Totalità («oggi me ne sto all’esterno, ma osservo con enorme curiosità quello
che accade nel mondo della religione, specialmente come essa agisce nella sfera
pubblica») i due discutono dei danni prodotti dal monoteismo, con una certa nostalgia di un più tollerante (ipotetico) politeismo. Non sarebbe stato il caso di
esaminare anche una “religione” come il buddhismo, lontano sia dal mono- che dal
poli-teismo? Non viene sollevato nessun lembo del mistero dell’esistenza
(l’uomo ha guastato il mondo o ha il compito di riparare il mondo guasto? È
socio o antagonista del creatore?), si criticano fondamentalismi e appartenenze
rimanendo sul generico, si auspica un ripensamento della storia e, in
particolare, della storia delle religioni: prego, fate pure, signori, aspetteremo
i risultati.
Le cose non vanno meglio con Le sorgenti del male, tr. it. Trento, Edizioni Erikson, 2013 (il
titolo originale era nientemeno A natural
Histoty of Evil, 2011), in cui per indagare sull’unde malum, dopo aver criticato alcune delle più note teorizzazioni
del Novecento, vengono usate un po’ di banalità psicologiche. Nessun pregio?
Viene almeno ricordato il libro di Anatole France, Gli dèi hanno sete, opera ingiustamente dimenticata.
In conclusione, soldi e tempo buttati.
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