Giornalista
e professionista nell’ambito dell’editoria libraria, Gian Arturo Ferrari col
volume Il libro (Torino, Bollati
Boringhieri, 2014) si cimenta in una carrellata storico-sociologica sulle tre
età del libro: manoscritto, stampato, elettronico. Venendo al terzo e ultimo,
l’ebook, ci accorgiamo sùbito che la stessa definizione (prendiamola dal Dizionario Treccani: «Complesso di fogli della stessa misura, stampati o
manoscritti, e cuciti insieme così da formare un volume, fornito di copertina o
rilegato») risulta incongrua. Questo perché — come osserva Ferrari — «un primo
e fondamentale aspetto che differenzia l’avvento della stampa da quello
dell’ebook è che la stampa era una tecnologia specifica del libro, mentre
l’ebook è l’applicazione al libro di una tecnologia di dimensioni e ambizioni
molto più vaste» e i libri sono, infatti, solo una piccola parte della molto
più ampia rivoluzione digitale globale come tecnologia della comunicazione.
La rete sta rivoluzionando
il commercio con la seduttiva promessa, già in parte divenuta realtà,
riassunta nel triplice any: anything anytime anywhere, cioè ogni
cosa, in ogni momento, in ogni luogo, che ha coinvolto e sta trasformando le
librerie: creazione delle grandi
librerie on-line che offrono, almeno potenzialmente, il catalogo di tutta la
produzione libraria internazionale e sono in grado (servizi postali
permettendo) di recapitare il prodotto in ogni parte del mondo. Ma, per quanto
riguarda questo settore, la rivoluzione sarà completa quando, a monte delle
librerie elettroniche, ci saranno i libri non più da trasportare fisicamente,
ma “da scaricare” nel giro di pochi secondi o minuti. E questa sarà la vera
trasformazione libro che, attualmente, è ancora in bilico tra due mondi, poiché
i libri che nascono come ebook sono ancora pochi e prevale la replica
informatica del cartaceo, ma le repliche non sono destinate a lunga vita.
Pensiamo, per analogia, ai giornali, altro mondo di repliche digitali del
cartaceo, quando è ormai palese la necessità (e il vantaggio) di differenziare l’informazione
immediata e l’archivio, passando dal giornale “tradizionale” al sito web, con
la possibilità di una collocazione storica e tematica di informazioni sempre
disponibili e aggiornabili, evitando, da un lato, inutili ripetizioni e,
dall’altra, la perdita di notizie.
Per il
libro la questione è più complessa, ma possiamo intravedere che, anche in
questo campo, bisognerà operare una distinzione tra il libro come veicolo di conoscenze
e il libro di riflessione, godimento, oggetto esso stesso di soddisfazione (non
sostituirei mai un volume della Pléiade
con un ebook!). L’enorme riduzione dei costi di produzione e diffusione, la libertà
assoluta da divieti e condizionamenti, la fine del corpo-a-corpo tra autore ed
editore (a volte “un commerciante che ha fatto un patto con lo spirito” a volte
un “carnefice” per la sua vittima scrivente) trasformeranno manuali, saggi e trattati
in depositi, archivi, biblioteche, realizzando una democrazia della conoscenza,
in cui gli strumenti del sapere siano disponibili a tutti e ovunque. È
l’inatteso risorgere, trasformato, dello spirito dell’enciclopedia che, da una,
diventerà plurale e antiautoritaria. Anni fa scrivevo sulle difficoltà di
pensare oggi una enciclopedia, intesa
come concatenamento
di conoscenze, insegnamento circolare, cerchio perfetto del sapere, circolo della scienza. Secondo
le parole stesse di Diderot, la grande enciclopedia degli illuministi aveva il
fine di «riunire le conoscenze sparse sulla superficie della terra, esporne il
sistema generale agli uomini con cui viviamo, e trasmetterlo agli uomini che
verranno dopo di noi, affinché le fatiche dei secoli passati non siano state
inutili per i futuri, affinché i nostri nipoti, diventando più istruiti
divengano nello stesso tempo più virtuosi e più felici, e affinché non moriamo
senza avere ben meritato dal genere umano». Una enciclopedia, dunque, sembrava
possibile solo se avesse trovato le sue basi nell’unità di una cultura, a sua
volta incarnata in un’umanità sicura dei suoi valori e del suo destino. Nella seconda
metà del secolo scorso, pensando di essere vicini all’obiettivo del
concatenamento delle conoscenze era stata tentata la realizzazione della più
vasta sintesi scientifica del nostro tempo: la International Encyclopedia of Unified Science, impresa fallita poco
dopo l’inizio. Oggi, in una cultura che ama definirsi postmoderna, globalizzata,
pluriversa, abbandonata l’utopia di una enciclopedia unificata del sapere,
siamo propensi ad assumere le classificazioni come provvisori punti di vista, consapevoli
della parzialità e senza più la pretesa di rispecchiare, con un solo schema,
l’ordinamento del mondo. Il caso di Wikipedia,
fenomeno sul quale non si è riflettuto abbastanza, ha creato una enciclopedia
di tipo nuovo, che ha di fatto spazzato via le voluminose enciclopedie
cartacee, lasciando in campo, tra le generali, giusto la Britannica e la francese Universalis,
accanto alle varie specializzate, e digitalizzate, Judaica, Catholic, E. of
Religion (Eliade), of Science, Sociology,
etc.
Per il libro di poesia e
letteratura, quello da mettere sotto il cuscino, il discorso è certamente un
altro e lì oggetto e contenuto viaggeranno ancora a lungo insieme. Il futuro? «Invece di aspirare a una
sintesi generale e fulminante — scrive Ferrari — bisognerà rassegnarsi, armati
di pazienza, a cercare di discernere i molti futuri dei molti libri». Costi,
maneggevolezza, sicurezza, utilizzabilità dei supporti, selezione e visibilità
delle diverse produzioni, traduzioni (elettroniche?) etc. saranno fattori
decisivi e, ancor più il cambiamento di abitudini e mentalità del lettore. Di
fronte a questa complessità e a una realtà in movimento a grande velocità
risultano invece patetici certi propositi (per altro velleitari) delle
istituzioni che intendono “salvare” vecchie librerie o vecchi cinema: se questi
sono da considerare ormai dei piccoli musei, luoghi da visitare per capire
“come eravamo” o boutiques in cui si possano vedere e acquistare oggetti
eleganti e preziosi, OK, ma se si tratta dei soliti sperperi di denaro pubblico
e di difesa di interessi e privilegi, ci risiamo con la tutela di corporazioni,
clientele, etc. etc. Perché non promuovere, invece, la digitalizzazione del
patrimonio librario e lo sviluppo della banda larga? Si pensa che i bambini di
oggi, da adulti andranno ancora dal giornalaio, in libreria o al cinema? Si
dice: il timore è che le librerie o i cinema vengano sostituiti con negozi di
pizze e patatine o jeanserie. È paradossale che chi, in nome di una democrazia “popolare”,
ha contribuito alla distruzione della scuola e di ogni forma di aristocrazia (additata
come sinonimo di privilegio), ha fatto crescere a dismisura la chiacchiera e
coltivato l’effimero, oggi voglia presentarsi come difensore della cultura con sospette
operazioni di retroguardia, fallimentari e ingannevoli.
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