martedì 27 maggio 2014

Ai nuovi eletti

Ai nuovi eletti che inizieranno a operare nel Parlamento europeo, vorremmo permetterci di inviare un augurio e una esortazione: a non dimenticare che la politica, pur svilita e offesa da tanti spregevoli eventi, è tra le più nobili attività in cui gli uomini di buona volontà possono impegnarsi. Con queste alte parole si esprimeva, in proposito, Cicerone:

«Tieni per fermo questo: che per tutti coloro che hanno conservato, aiutato, ingrandito la patria, è assicurato in cielo un posto particolare, dove felici potranno godere per l’eternità. Nulla infatti è più gradito a quel primo dio, che governa tutto il mondo, almeno di ciò che accade sulla Terra, delle riunioni e dei sodalizi degli uomini associati nel diritto, i quali sono chiamati Stati; ed i loro governanti e conservatori, di qui partiti, qui ritornano [...]. Ottime attività sono quelle che concernono la salvezza della patria: l’anima che da questi impegni è stata sollecitata ed esercitata più rapidamente trasvolerà a questa sua propria sede ed abitazione; e ciò raggiungerà più prontamente, se già fin da quando è racchiusa nel corpo, si sporgerà fuori e contemplando quelle cose che ne stanno all’esterno si astrarrà, per quanto più sarà possibile, dal corpo» (De Republica, 6, 13 e 6, 29, ed. it. a cura di L. Ferrero e N. Zorzetti, con modifiche). 

venerdì 23 maggio 2014

Vesak 2014


dal sito http://www.religioniperlapaceitalia.org/

VESAK 2014: una riflessione di Riccardo Venturini


VESAK
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Possiamo dire che non esista alcuna religione priva di qualche forma di festa. Anche se nella nostra cultura secolarizzata siamo portati a vedere le ricorrenze religiose come incisioni nella scansione del tempo “oggettivo” del calendario “utilitario”, le feste costituiscono i cardini dei vari sistemi calendariali, nati probabilmente proprio dalla necessità di stabilire il tempo “giusto” per le feste periodiche. Rito essa stessa, la festa costituisce anche la cornice all’interno della quale diversi riti sono celebrati.
Dal punto di vista religioso, la festa non è una mera “commemorazione”, ma comporta la sospensione del tempo ordinario, il tempo profano della durata, per far posto a un tempo diverso, sacro, che irrompe in quello comune e conferisce significato all’esistenza. E anche nelle feste “laiche”, pubbliche o private, si può osservare il permanere di questa diversità nell’uso di particolari cibi o vestiti, riconosciuti appunto come festivi.
Il buddhismo, in quanto religione, non fa eccezione e, nei vari Paesi in cui si è inculturato, possiamo trovare numerose festività. In tempi recenti, da parte del World Fellowship of Buddhists, si è convenuto di rendere il giorno di luna piena del mese di maggio (da qui il significato del termine Vesak che, nel calendario Hindu, indica il mese lunare di aprile-maggio) una festa pubblica in onore del Buddha. Attualmente, il giorno del Vesak è osservato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e, nel nostro Paese, in base all’intesa tra l’Unione buddhista italiana e il Governo, si celebra l’ultima domenica di maggio, per ricordare la nascita, l’illuminazione e la morte (o parinirvana) del Buddha storico. Il Vesak consente anche di vivere occasioni di socialità differenti da quella ordinaria, realizzando, come afferma l’Unione buddhista italiana, un «incontro tra i vari Centri e le rispettive comunità di praticanti, un momento di preghiera comune, un momento di studio ed approfondimento del Buddhismo e delle sue relazioni con la società italiana ed anche un momento di festa e di gioia per aver incontrato gli Insegnamenti del Buddha».
Va d’altra parte ricordato che, in una visione strettamente non-dualista come quella propria del buddhismo, in particolare mahayana, in cui sacro e profano non sono disgiunti e il Nirvana coincide col samsara, la distinzione di un tempo sacro da un tempo profano non avrebbe senso. Tuttavia, la nostra mente ordinaria, immersa nelle attività del mondo convenzionale sembra avere, paradossalmente, bisogno di “separarsi” per ritrovare l’unità, realizzando in tal modo il non-dualismo nel dualismo.
Riccardo Venturini

sabato 17 maggio 2014

Schermaglie#36/Her, di Spike Jonze (2013)


Theodore è uno scrittore per conto terzi di lettere d’amore, di circostanza e d’occasione (rinnovata figura dello scrivano d’altri tempi) che lavorando al computer si appassiona a un nuovo sistema operativo basato sull’intelligenza artificiale. A poco a poco la relazione con Samantha (il nome dell’interfaccia femminile del sistema) si tramuta in un rapporto d’amore. Intanto, l’evoluzione del protagonista prosegue, finalmente affronta il divorzio che aveva sempre rimandato, riflette sulla sua affettività, si ingelosisce delle ulteriori relazioni della sua interfaccia, etc. Poi (per ragioni un po’ misteriose) il sistema (Samantha) si allontana e scompare dal computer, e dalla vita, di Theodore che, ormai più risolto, sembra poter cominciare una nuova relazione con l’amica Amy, anche lei sconsolata per la crisi della sua precedente relazione e per aver perso il proprio sistema operativo.
La lettura a livello di una più palese superficie suggerisce di riflettere sulla incapacità di gestione delle emozioni e delle relazioni in un presente tecnologico (e ancor più nel minaccioso futuro prospettato) , in cui la solitudine aumenta e si tenta di riempirla con vari succedanei delle relazioni “reali”: ma dove risiede il confine da realtà e illusione, tra relazioni “vere” e sogni a occhi aperti? E come sarà l’“educazione sentimentale” nel mondo dominato dai computer, per gli utenti umani e per i sistemi di intelligenza artificiale?
Più nascosto, ma più soddisfacente, per uscire dalla fantascienza (neanche poi tanto fanta-) mi pare il livello metaforico. Quello di Theodore è un percorso che possiamo vedere come percorso psicoterapeutico, in cui seguiamo l’affermarsi del transfert, l’evolversi e la conclusione (l’analisi non può essere “interminabile”, rimando al saggio di Freud). Si potrebbe anche parlare del diverso peso, come nella terapia, dell’approccio verbale e di quello corporeo, ma meglio fermarsi sul personaggio/paziente che ne esce più maturo, forse un po’ più triste, ma più capace di sopportare la (s)ventura di vivere.
Ancora: il sistema Samantha come metafora della nuova femminilità: sempre più indipendente, desiderosa di apprendere dalle inedite esperienze nate con l’ingresso in un mondo prima precluso e che a mano a mano si viene a possedere. Ridefinizione dei ruoli, sofferenza e incertezze, poi si vedrà...
Ottima recitazione, scenografie persuasive, fantascienza credibile. La voce di Samantha è quella di Scarlett Johansson, interprete “celata”, ma di primario rilievo,  che vuole affascinarci, rimanendo, come la donna, inesorabilmente “nascosta” al mondo maschile. In queste relazioni “artificiali” dell’era della comunicazione, la parola e la voce sembrano prendere un incontrastato sopravvento su tutti gli altri rapporti (altra possibile lettura del film!) e, nella crescente inadeguatezza a gestire questi strumenti onnipotenti, forse si farà progressivamente ricorso a figure, come quella del protagonista, che scriveranno al posto di altri, in un gioco di specchi che va a moltiplicare i passaggi di finzione in finzione... 

mercoledì 14 maggio 2014

Modi di dire (e di pensare)#22/popolo, popolare, populismo...


Come ha già detto qualcuno, parafrasando Marx, uno spettro s’aggira per l’Europa: il “populismo”. Può dunque valer la pena di rifare i conti coi termini popolo, popolare, populismo.
Cosa s’intende, dunque, per popolo? Se cerchiamo una definizione di questo termine/concetto nella “classica” Filosofia del diritto di Giorgio Del Vecchio, troviamo che «per popolo s’intende la moltitudine di persone che compongono uno Stato», con l’avvertenza che «se però oltre tale vincolo, od anche senza di esso, esistono altri vincoli naturali di comunanza, abbiamo la nazione. Tra questi vincoli ci si presenta anzitutto l’origine etnica (per l’etimologia stessa della parola: natio quia nata), indi la coltura, la tradizione storica, il costume, il linguaggio, la religione, ecc.». E la Treccani  chiarisce: «Il complesso degli individui di uno stesso paese che, avendo origine, lingua, tradizioni religiose e culturali, istituti, leggi e ordinamenti comuni, sono costituiti in collettività etnica e nazionale, o formano comunque una nazione (indipendentemente dal fatto che l’unità e l’indipendenza politica siano state realizzate)», per cui, ad es., il popolo italiano esisteva anche prima della realizzata unificazione politica con la costituzione del Regno d’Italia. Non possiamo, a questo punto, non ricordare quel bel passo del De Republica di Cicerone, per il quale la res publica coincide con la res populi, dove  «popolo poi non è qualsivoglia agglomerato d’uomini riunito in qualunque modo, ma una riunione di gente associata per accordo nell’osservare la giustizia e per comunanza d’interessi. La prima causa poi di siffatto riunirsi non è tanto la debolezza, quanto una specie di istinto associativo naturale; l’uman genere non è infatti isolato né vagante nella solitudine, ma generato con carattere tale che, nemmeno in ogni sorta di abbondanza [e facilità di vita l’individuo potrebbe rimanere isolato]» (De Republica, I, 25, ed. it. a cura di L. Ferrero e N. Zorzetti; e v. il bel saggio di Michele Coccia, professore emerito di Letteratura latina nell’Univ. “Sapienza” di Roma, «Aspetti del pensiero politico di Cicerone», in Leussein, III, 2010, 3, p. 21 ss.). Sarà proprio questo “supplemento d’anima”, come direbbe Bergson, a conferire a una moltitudine di individui quell’unità capace di trasformarlo in popolo, per cui si parla anche di “popolo di Dio”, “popolo della notte”, “popolo dei vacanzieri”, etc.
Popolo è anche la parte di una comunità che vive in condizioni disagiate, per cui  popolare è sì “del popolo” come collettività (“volontà popolare”, “partito popolare”), ma più spesso indica ciò che è a vantaggio dei meno abbienti e dotati (“prezzi popolari, “case popolari”). E “nazional-popolare” è l’espressione gramsciana usata per connotare quelle opere o gli usi e costumi che dovrebbero essere rappresentativi di tutto un popolo e contribuire alla coscienza dell’identità nazionale, come, in Italia, potrebbe essere (o era), ad es., il melodramma.
Venendo, infine, a “populismo” con questo termine si intende oggi quella prassi politica in cui un capo carismatico pretende di avere un rapporto diretto con le masse popolari, di cui interpreterebbe le esigenze e le aspirazioni, ritenute demagogicamente e indiscutibilmente positive. È evidente che nell’affermarsi del populismo si esprime la crisi di fiducia nella rappresentanza operata da partiti, sindacati, associazioni, che implica il conseguente rispetto di tempi, mediazioni, controlli. Esplicita o implicita è, pertanto, la contrapposizione che viene a determinarsi tra una presunta purezza popolare e le élite e i parlamenti, non sempre a torto accusati di costituirsi in caste separate e spesso corrotte. Nella crisi della rappresentanza democratica è tuttavia ben evidente il pericolo di aprire, col populismo, la strada a totalitarismi di vario tipo e colore, come il secolo scorso ha ampiamente mostrato e dimostrato. Ma quella di populismo rimane una nozione fluida e polisemica, contorta è la storia dei movimenti così etichettati, incerte le reazioni. Se Flaubert potesse aggiornare il suo Dictionnaire des idées reçues forse scriverebbe: «Populisme: on ne sait pas ce que c'est; tonner contre». Dunque, per saperne di più, può giovare il recente libro di G. Bolaffi e G. Terranova, Marine Le Pen & Co., Firenze, goWare e Firstonline, 2014, ove sono passati in rassegna populisti e neopopulisti, euroscettici, estremisti ultranazionalisti e via enumerando, con utile corredo anche di grafici e illustrazioni.