Quando si parla di
spiritualità del finito non è contraddittorio riferirsi al sentimento e al
bisogno di trascendenza, intesa questa non in senso ontologico, ma come un
diverso sguardo da portare alla realtà dei fenomeni, con il sentimento
di essere attraversati da una forza che ci sorpassa e come un orizzonte che
avvolge le cose e dà loro un senso, motivandoci a una vita aperta, espansa, realizzata
nell’intensificato impegno alla creazione di valore. In questa prospettiva, la
pagina di Claudio Magris (Corriere della
sera, 20 08 12) che mi sembra utile riproporre.
L’Infinito,
qui e ora, nelle cose della Vita
«Tutte le
immagini - dice una poesia di Montale - portano scritto: “Più in là”». È questo
oltre, questo «Più in là» che dà senso a ogni concreta realtà finita. I nostri
pensieri, i nostri sentimenti, le nostre azioni, la nostra esistenza non si
limitano alla loro particolarità; si collocano in una dimensione infinitamente
più grande che li avvolge e conferisce loro significato. Così come un sorriso
non esiste da solo, ma nel volto e nella bocca in cui nasce, nella persona in
cui fiorisce e nella persona o nelle persone o nelle cose cui si rivolge e che
non sono staccate da noi, ma fanno parte del campo di energie della nostra
vita. La Via Lattea, quando la vediamo nelle notti serene, ci sembra lontana,
altra da noi, ma invece siamo anche noi in essa, siamo anche noi la Via Lattea.
La nostra finitezza è inesorabile e forse non possiamo né dobbiamo occuparci
d’altro, ma essa non basta ed è un’illusione delle nostre abitudini e dei
nostri pregiudizi che essa sia tutto. Questo senso di ciò che trascende la
nostra immediatezza è religioso, ma non ha necessariamente bisogno di una fede
precisa. In uno splendido saggio, Horkheimer - marxista critico, padre insieme
ad Adorno della Scuola di Francoforte e del pensiero negativo - parla del mondo
finito come dell’unico mondo di cui si possa avere conoscenza, ma rimanda pure
a un «irriducibilmente Altro» che non si può analizzare, ma non si può
espellere dall' orizzonte della mente e del cuore umano. Non so come si possa
definire questo Altro: Dio, l’infinito, forse pure con altri nomi. Anni fa un
eminente fisico mi disse che la scienza stava distruggendo gli infiniti. Non
sono in grado di capire cosa ciò significhi, ma non credo che ciò possa
cancellare la verità espressa nell' Infinito di Leopardi, verità oggettiva, che
coglie il rapporto dell' individuo col Tutto in cui vive e che sostanzia la sua
stessa esistenza. Senza questo senso concreto dell' oltre, non esiste veramente
niente e niente può essere vissuto, patito, goduto. Basta uno sguardo, in cui
nell' amore si accende improvvisamente qualcosa d' altro, per farci capire che
la nostra esistenza non finisce ai confini del nostro corpo, dei nostri
interessi, delle nostre paure. Anche l’aprirsi a un altro nell’amicizia varca e
trascende le misere frontiere dell' io. Viviamo, anche senza saperlo e senza
volerlo, in quest’oltre, come i pesci nel mare. Non avere questa consapevolezza
impoverisce la vita, l’Eros, l’avventura. Quest' oltre può essere vissuto e
sentito, ma non predicato. «Tutto sta eterno dinanzi al volto di Dio - dice, in
una poesia di Goethe, la bellissima Suleika al suo amante -. Amalo in me, per
questo istante». In quel momento, l' infinito - se proprio vogliamo chiamarlo
così - è baciare quella bocca, non tenere conferenze sull' infinito, sull'
amore o su Dio. Forse - non lo so - matematici e fisici possono cercare di
catturare l’infinito nei loro calcoli, ma nella vita d' ogni giorno non è certo
il caso di rompersi la testa sulla sua inafferrabilità e di atteggiarsi a
pensosi e tormentati spiriti profondi in cerca dell’assoluto. Questo oltre lo
si vive nelle cose concrete d’ogni giorno, come l' orizzonte che le avvolge e
dà loro significato, ma occupandosi della loro e nostra finitezza. Si lamenta,
giustamente, che preoccupazioni materiali rendano la società sempre più priva
di spiritualità. Ma quest' ultima è reale non se è oggetto di nobili discorsi,
ma se è l’atteggiamento con cui si affrontano i problemi d’ogni giorno. Proprio
perché Dio è indicibile - ed è patetico ed empio volerlo definire, possedere,
farsene rappresentanti ufficiali o interpreti autorizzati, parlare a suo nome -
il nostro compito è parlare non dell' infinito ma delle piccole o grandi, buone
o cattive cose in cui esso vive e si nasconde, dalle difficoltà casalinghe all'
euro o alle pensioni. La preghiera, è stato detto, è attenzione, attenzione
amorosa, rigorosa e silenziosa alle cose.
Claudio
Magris
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