venerdì 3 gennaio 2014

Finis vitae#5/Pascoli, L’assiuòlo

Non eadem est aetas, non mens/L’età non è più quella, e l’animo neppure

L’assiuòlo, uccello rapace che di notte emette il suo monotono grido chiù chiù, ha ispirato a G. Pascoli una poesia (L’assiuolo), una delle sue “metafisiche” (non cioè del gruppo dalle “familiari”), un notturno impressionistico in cui si riflettono i suoi tristi pensieri («sentivo nel cuore un sussulto, 
com’eco d’un grido che fu») e la sua angoscia di morte che rimane senza risposta 
(come i suoni delle cavallette, «tintinni a invisibili porte 
che forse non s’aprono più»).
La voce dell’assiuolo, onomatopeico chiù, viene ripetuto di strofa in strofa in un’anafora di intensità crescente (da voce che viene dai campi, poi eco di un grido, diviene alla fine un lamento funebre), con una modulazione musicale che, per usare le parole di Cesare Garboli,  «raggiunge qui un limite insuperabile […]. Ogni parola è una nota, e ogni legame tra i periodi un accordo di pianoforte».
L'assiuolo
Dov’era la luna? ché il cielo/ notava in un’alba di perla,/ ed ergersi il mandorlo e il melo/
parevano a meglio vederla./ Venivano soffi di lampi/
da un nero di nubi laggiù;/ veniva una voce dai campi:/
chiù...

Le stelle lucevano rare/
tra mezzo alla nebbia di latte:/ sentivo il cullare del mare,/ sentivo un fru fru tra le fratte;/ sentivo nel cuore un sussulto,/
com’eco d’un grido che fu./ Sonava lontano il singulto:/
chiù...


Su tutte le lucide vette/ tremava un sospiro di vento:/ 
squassavano le cavallette/
finissimi sistri d’argento/
(tintinni a invisibili porte/ 
che forse non s’aprono più?...)/ 
e c’era quel pianto di morte,/ chiù...

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