Non eadem est aetas,
non mens/L’età non è più quella, e l’animo neppure
Il cibo rassicura i bambini,
distrae i passeggeri in aereo, consola le persone che soffrono. “Consolo” era
detto sia il vino drogato che si dava al condannato a morte per attutirne la
vigilanza sia, in particolare nell’Italia centro-meridionale, il banchetto
offerto o il cibo inviato da parenti e amici alla famiglia del defunto nei
primi giorni di lutto. Concludere il funerale con un banchetto aveva il
significato di gestire il lutto non più nel recinto familiare, ma di condividerlo
con la comunità e contrapporre alla morte il cibo come simbolo e realtà di vita.
A Gradoli (cittadina del viterbese) si organizzava, durante la quaresima, un ricco
banchetto (vegetariano) per commemorare le anime del Purgatorio (banchetto
della penitenza): accentuando il contrasto tra vita e morte si offriva vita ai
defunti e la vita tutta avrebbe dovuto uscirne più prospera e felice.
Il legame tra cibo e vita (e quindi
anche tra cibo e morte) è dunque dei più profondi, arcani, originari, e la
scrittrice giapponese Ito Ogawa ha il merito di evidenziare con grande
immediatezza come tale legame sia sempre attuale e ci fa conoscere come venga vissuto
nell’odierno Giappone post-tradizionale. I racconti che compongono La cena degli addii (tr. it., Vicenza,
Neri Pozza, 2012) illustrano questo rapporto tra cibo (un’occasione per
descrivere ed esaltare la cucina giapponese, così poco e mal conosciuta da noi)
e situazioni problematiche, di perdita o di distacco. Una, quella che dà il
titolo al libro, riguarda due coniugi che si separano dopo una ricca cena;
un’altra si riferisce a due giovani omosessuali che decidono di suicidarsi, ma
dopo aver gustato il meglio della cucina di Parigi (e per questo forse
rinunceranno al loro progetto!). In due altri racconti, gli scomparsi sono
sentiti così presenti da poter “guidare” a prepare o gustare alcuni piatti; ma
due delle storie mi sono sembrate particolarmente toccanti: una, Il misoshiro di Kochan, in cui una
giovane madre, condannata dal cancro, prima di morire insegna a preparare
questa zuppa alla sua bambina, la quale continuerà a farlo (per sempre?) con
devozione quasi religiosa; l’altra, Il mio
caro cuore colorato, dedicata a una cena molto “particolare” (non aggiungo
altro per non guastare l’incanto della lettura) di due anziani coniugi: racconti
commoventi fino alle lacrime, due piccoli capolavori!
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