Non eadem est
aetas, non mens/L’età non è più quella, e l’animo neppure
In questi giorni in cui, ancora una
volta, si verificano aggressioni, violazione dei diritti umani, scontri cruenti
in cui è difficile distinguere l’attaccante dall’attaccato, si ripropongono gli
eterni interrogativi: bisogna intervenire per punire l’aggressore o bisogna non
agire, seguendo la via della non-violenza assoluta?
Debbo dire che sono stupito di
quanto poco si sia fatto tesoro di quel che è accaduto e di quanto si è
elaborato anche solo pochi anni fa e si debba sempre ricominciare da Talete.
Dunque, se cerchiamo di comprendere
le ragioni di chi è favorevole e di chi è contrario agli interventi armati
“correttivi”, innanzitutto sarà necessario purificare i discorsi
dall’atteggiamento del sospetto (le grandi potenze, leggi USA, hanno sempre
interessi inconfessati, come conquistare egemonia e materie prime ossia petrolio;
i “pacifisti” sono animati da una congenita
e aprioristica ostilità verso l’“impero americano” e i suoi alleati e
quando si oppongo alla guerra intendono opporsi alle reazioni a guerre o
violenze già effettuate), altrimenti si scade solo in una sterile polemica. Ciò
fatto, bisogna tener presente che nell’insegnamento di Buddha o di Gesù
l’invito alla pratica della non-violenza è molto esplicito, ma — come attivo
partecipante alle attività della Conferenza mondiale delle religioni per la
pace — voglio ricordare che anni fa elaborammo con molta chiarezza documenti in
cui si esplicitava che la non-violenza si può
configurare, nei casi estremi, come consapevole accettazione del martirio. Ma
le cose anche così non sono semplici: che fare di fronte al male e alla
violenza presenti nel mondo e che non si esercitano solo contro di noi, ma a
danno di altri (spesso, per di più, del tutto innocenti)? Se anche fossimo
disposti ad accettare il martirio, possiamo considerare ammissibile un
atteggiamento che esponga altri a un martirio che non è stato da loro scelto? Ricordiamo
che i sutra buddhisti (analogamente ai Vangeli) sono stati composti in tempi e
in riferimento a situazioni in cui la dottrina era indirizzata a individui
desiderosi di cambiare orientamento di vita nella società in cui vivevano.
Successivamente, si presentarono preocupazioni nuove, passando dal livello
dell’ascesi individuale a quello delle responsabilità politiche. Ecco che
allora affermare, come insegna il buddhismo Mahayana, che il samsara coincide
col Nirvana e viceversa, significa assumersi la responsabilità della storia e
quindi riconoscere che siamo figli della storia e che il male e il bene sono
nella storia mescolati intimamente tanto
da non potersi fare la storia separando l’uno dall’altro. Il simbolo del loto,
fiore immacolato ma con le radici nel fango, ci ricorda l’inscindibilità di
positivo e negativo, e ci costringe a riconoscere che non tutta la violenza è
nella guerra e che non tutto nella guerra è violenza. Molte delle cose che
consideriamo progressi civili, riconoscimento dei diritti, affermazioni di
giustizia e libertà sociali vengono, purtroppo, da lotte cruente che hanno
segnato la nostra storia e ci impongono di non dimenticare tutti coloro che
hanno dato la loro vita per difendere e affermare gli spazi di libertà di cui
godiamo. Probabilmente, noi stessi non saremmo qui se l’ultima guerra contro il
nazifascismo non fosse stata combattuta o fosse stata vinta dalla Germania
nazista; non potremmo esprimerci ora in spirito di tolleranza e comprensione
senza il martirio dei tanti caduti per difendere la libertà di pensiero né
possiamo immaginare quale volto avrebbe quella che chiamiamo Europa cristiana
senza Carlo Martello e Orlando e Carlo Magno.
Abbandonata,
dunque, l’illusione che la non-azione sia sempre la scelta migliore, qualora
l’ingerenza umanitaria dovesse comportare l’uso della forza, l’intervento dovrà
essere adeguato al livello del conflitto che si sta affrontando, esercitando
una costante vigilanza per far sì che l'intervento non crei più danni di quelli
che sono già in atto. Purtroppo, si deve ancora una volta constatare che le
Nazioni Unite, embrione di governo mondiale, le uniche che sarebbe legittimate
a inerventi di “polizia internazionale” sono quasi sempre paralizzate (ricordate,
ad es., il massacro di Srebrenica del 1995 nella ex-Jugoslavia
sotto gli occhi dei caschi blu?) e lasciano i “volenterosi” nella difficile responsabilità
di scelte, sempre criticabili.
Voglio, infine, ricordare come la
Chiesa cattolica, superato il concetto di guerra giusta sia passata a quello di
ingerenza umanitaria e dal riconoscimento del diritto all’autodifesa a quello
del dovere dell’azione a difesa dell’aggredito. Affermava Giovanni Paolo II:
“Difendere chi è perseguitato, chi è attaccato, chi perde
tutto, non è altro che un atto di carità. L’ingerenza umanitaria è una cosa
evangelica in sé […]. Non si può restare fermi mentre il mio vicino,
concittadino o non concittadino, subisce un’aggressione” (1993).
E ancora: “Evidentemente,
quando le popolazioni civili rischiano di soccombere sotto i colpi di un
ingiusto aggressore e a nulla sono valsi gli sforzi della politica e gli
strumenti di difesa non violenta, è legittimo e persino doveroso impegnarsi con
iniziative concrete per disarmare l’aggressore (XXXIII giornata della pace, 1
gen. 2000).
Sarebbe auspicabile che queste
considerazioni fossero presenti anche oggi e il discorso si spostasse dal piano
dei princìpi a quello dei mezzi opportuni (dai discorsi ideologici a quelli
politici). Ma la Storia, purtroppo, sembra non riuscire a insegnare un granché
non solo sui tempi lunghi, ma neppure attraverso gli avvenimenti e le
riflessioni di ieri...!
P.S. Trovo interessante, per arricchire le riflessioni, riportare due brani dell’articolo L’improbabile espulsione di Ernesto Galli Della Loggia, pubblicato sul Corrriere della sera dell’8 settembre, che si discostano dal conformistico coro che ha accompagnato le dichiarazioni di papa Francesco.
P.S. Trovo interessante, per arricchire le riflessioni, riportare due brani dell’articolo L’improbabile espulsione di Ernesto Galli Della Loggia, pubblicato sul Corrriere della sera dell’8 settembre, che si discostano dal conformistico coro che ha accompagnato le dichiarazioni di papa Francesco.
«l)
L'ostilità di principio alla guerra (fatto salvo, immagino, il caso di una
guerra di pura difesa, tuttavia non facilmente definibile: la guerra dichiarata
dalla Gran Bretagna e dalla Francia alla Germania nel 1939, per esempio, era di
difesa o no?) cancella virtualmente dalla storia la categoria stessa di
«nemico» (e quella connessa di «pericolo»). Cioè di un qualche potere che è
ragionevole credere intento a volere in vari modi il nostro male; e contro il
quale quindi è altrettanto ragionevole cercare di premunirsi (per esempio
mantenendo un esercito). Chi oggi dice no alla guerra è davvero convinto che
l'Europa e in genere l'Occidente non abbiano più nemici? E se pensa che invece
per entrambi di nemici ve ne siano, che cosa suggerisce di fare oltre a essere
«contro la guerra»?
3) C'è infine un argomento molto usato per dirsi
in generale contro la guerra: «La guerra non ha mai risolto alcun problema».
Nella sua perentorietà l'argomento è però palesemente falso. Dipende infatti
dalla natura dei problemi: non pochi problemi la guerra li ha risolti eccome
(penso a tante guerre per l'indipendenza nazionale, ad esempio); per gli altri
bisogna intendersi su che cosa significa «risolvere» (tenendo presente che
nella storia è rarissimo che per qualunque genere di questioni vi sia una
soluzione definitiva, «per sempre»). Se si parla di un pericolo politico, una
«soluzione» può benissimo essere rappresentata dal suo semplice
ridimensionamento, dall'allontanamento nel tempo, dalla sostituzione di un
nemico più forte con uno meno forte. Tutti obiettivi che un'azione militare è
di certo in grado di conseguire.
Insomma:
essere in generale a favore della pace è sacrosanto; proporsi invece di
espellere la guerra dalla storia è, come si capisce, tutt'un altro discorso».
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