Non eadem est aetas, non
mens/L’età non è più quella, e l’animo neppure
Nella grande galassia della nouvelle vague troviamo convivere personalità e temperamenti diversi la cui collocazione risulta non sempre facile e a volte arbitraria. Ma lasciamo agli storici del cinema questo problema per rivolgersi a due film, di ispirazione quasi analoga ma con esiti differenti, nati nella stessa “famiglia” e nello stesso tempo: Les parapluis de Cherbourg (1965) di Jacques Demy e Le bonheur di Agnès Varda (1965).
I due film potrebbero
essere considerati come illustrazioni degli Stadi
sul cammino della vita di S. Kierkegaard. In Le bonheur, la Varda — regista attenta, sensibile, dalla capacità
espressiva ricca e diversificata — presenta la famiglia di François, Thérèse e due bambini, “felice” nella sicurezza degli affetti. François un giorno incontra
Émilie, quasi una copia della moglie, tuttavia l’importante è che sia un’altra,
un’apertura alla vita al di là del quadretto familiare. François vorrebbe
conciliare l’avventura con la stabilità, l’estetica con l’etica. Ma non è il
vissuto della moglie che lo sente inaccettabile e si suicida. François finisce con lo sposare Émilie e il
film sottolinea come il nuovo quadretto familiare, sia lo stesso del
precedente, anche se non il medesimo. Cambia il nome, ma non il ruolo della
compagna di François, i tempi del quintetto di Mozart, che fa da colonna sonora,
sono diversi, è cambiata la stagione, i colori e l’abbigliamento, ma François, di
nuovo inquieto, sembra interrogarsi su dove si trovi ora e se la felicità sia
lì. Dunque, o la felicità è nel racconto della felicità che ci facciamo e che
non consente di venir messa in dubbio, premiando con la sicurezza e la
solidarietà, o è in quell’oltre, imprecisato e proprio perché non dominato è promessa
e non realizzazione: due modelli che sembrano non poter convivere (come sottolinea
la fine di Thérèse di fronte al
possibilismo egocentrico di François).
Jacques Demy, marito
della Varda (al quale ella ha dedicato come omaggio post-mortem, il bellissimo,
Jacquot de Nantes, 1991), regista
delicato nella forma “impressionistica” e nei contenuti leggeri, ma non privi
di ironia, in Les parapluis de Cherbourg
(1964, Palme d’or a Cannes), apre un nuovo genere di commedia musicale
francese, e mostra, in questo film, al contrario di Le bonheur, due amanti che, dopo avere
attraversato vicende complesse e dolorose, e aver costruito ciascuno una
propria vita indipendente, si rincontrano casualmente dopo anni, ma non cedono
a velleitarie tentazioni di “ripresa” e si salutano convinti (in particolare
Guy) di non avere più niente da dirsi. E qui l’etica dell’“assessore Guglielmo”
prevale sull’estetica dei vari “Don Giovanni”. Ancora Kierkegaard!
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