Rivedendolo oggi, Je vous salue, Marie (1985) è più facile che venga percepito come un film puro, semplice e appassionato nel suo desiderio di andare a vedere ciò che è da sempre sentito come un tabù: come nasce una vita, come fa un’idea a realizzarsi, come fa una sceneggiatura a incarnarsi negli attori per diventare un film, cosa passa tra un uomo e una donna, qual è la forza e la realtà dell’incesto (in Maria duplice e reversibile: Dio e la figlia Maria, Maria e suo figlio Dio-Gesù)? La donna, sempre aperta a ricevere la Vita che viene da lontano (sulla Terra è venuta dallo spazio, insinua Godard con la lezione di astrofisica, per cui noi siamo tutti extra-terrestri, e con l’aereo-astronave che si ripresenta nei momenti cruciali), molto più da lontano che dal maschio-compagno, resta sempre misteriosa e chiusa (sempre “vergine”, anche se madre) per l’uomo, un sofferente incompreso e isolato, confrontato con una maternità incomprensibile, in conflitto con una sessualità prepotente. E il corpo, che ci appartiene ed è la nostra prigione, mistero dei misteri, in cui non sappiamo come si entra e da cui ignoriamo come si esca, mistero di tutte le in- e dis-incarnazioni.
La didascalia “En ce temps là”, che compare frequentemente, a ogni episodio, non ritengo voglia ricordarci che si sta rievocando un un evento del passato, ma presentarci un mito, un racconto esemplare e archetipico di cose accadute “in illo tempore”, nel tempo magico dell’inizio, e che sempre si ri-attualizzano, oggi e in futuro.
Con questo film lucido e puro, che è tuttavia riuscito a dividere i cattolici, Godard ci mostra "come si fa un’immagine, come si filma la musica, le stagioni, il sole, il cielo, i campi, come si stampa un nudo di donna senza rifare la pagina centrale di Playboy" (cfr. Cahiers du cinéma).
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