È un’occasione di confronto con le dicotomie senza mediazione e i loro esiti insolubili. Qui è il rapporto tra la vita e la morte, nella storia; tra ciò che è vivo e ciò che è morto, nell’esperienza.
Hiroshima mon amour parla di memoria e di racconto.
Cos’è la memoria, cos’è che trasforma la traccia in ricordo, il fragile ponte sul fiume del tempo che divide l’esperienza di oggi da quella di ieri?
Cos’è il racconto, che trasfigura e sfigura, purifica, assottiglia, dona senso, trasformando l’evento in destino?
E la comunicazione, il ponte sui crepacci di solitudine che distanziano i vissuti individuali, miracolo impossibile e anche peccato crudele, attentato alla preziosità del nostro segreto…?
È possibile ricordare, è possibile narrare Hiroshima, città di distruzione e di condanna, di morte e di eccessi? Si possono narrare i due personaggi che si incontrano, si inseguono, si bordeggiano, si perdono? Nella loro raggelante impotenza si chiamano, alla fine, coi nomi delle sofferenze di cui sono prigionieri; si diranno: «Il tuo nome è Hiroshima» e «Il tuo è Never-en-France». Come dire che i diversi “ponti” che abbiamo intravisto hanno forse una sola possibilità di esistere, quella offerta dalla comune cognizione del dolore.
1 commento:
Bello, preciso come al solito. "Occhiuto" sguardo che si appoggia per porre domande sulle relazioni alle cose ultime.
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