Il ginocchio di Claire (1970) è il V del ciclo dei 6 “Racconti morali” del regista Éric Rohmer, film che vogliono evocare i racconti e le conversazioni dei secoli passati. Benché ricco di dialoghi intelligenti e di una messa in scena limpida e semplice, il film è in complesso un po’ noioso. Tuttavia, la discussione che il protagonista Jérôme, un giovane diplomatico prossimo alle nozze, fa con un’amica scrittrice su quali siano, nel corpo femminile, i punti più vulnerabili (all’assalto maschile? Alla seduzione?) e la sua attenzione, rivolta al ginocchio dell’adolescente Claire (che lui desidera accarezzare, cosa che riesce finalmente a fare con innocente facilità durante un temporale, ancora una volta pronuba Juno!), mi hanno suscitato qualche ricordo e riflessione.
Se il mettersi in ginocchio sembra esplicito atto di sotto-missione, di esibita inferiorità di fronte a qualcuno o a qualche divinità, meno comprensibili per noi oggi sono gli atti di abbracciare, carezzare, toccare, baciare le ginocchia. La letteratura classica abbonda di esempi: Achille prega la madre di chiedere a Zeus di soccorrere i Troiani dicendo: “al suo lato siedi, e gli abbraccia le ginocchia e il prega di dar soccorso ai Teucri” (Il. 1, 407); Zeus che, infatti, “di Teti adempir cerca le brame, che lusinghiera gli baciò il ginocchio” (Il., 8, 371); Priamo, recatosi a chiedere la restituzione del corpo di Ettore, “tosto fattosi innanzi tra le man si prese le ginocchia d’Achille, e singhiozzando la tremenda baciò destra omicida” (Il. 24, 478); Ulisse che, incontrando Nausica, “in due pensieri ei dividea la mente: o le ginocchia strignere a Nausìca, di supplicante in atto, o di lontano pregarla con blande parole” (Od. 6, 142), mentre di fronte ad Arete, senza indugio “circondò con le braccia alla Reina le ginocchia” (Od. 7, 147). Ancor più interessanti sono quelle espressioni che troviamo in Euripide, quando il Coro scongiura Medea dall’uccidere i figli: “No, no, per le tue ginocchia (prÕj gon£twn, pròs gonàton), i figli risparmiali” (Medea, v. 853), o quando Ecuba, prostrata davanti ad Agamennone, lo supplica dicendo: “Per le tue ginocchia (tînde goun£twn, tònde gunàton) […] ti prego, Agamennone” (Ecuba, v. 752), e che ritroviamo anche altrove, per es. in Demostene (prÕj tîn gon£twn, sempre col significato di supplicare per, attraverso il riferimento alle ginocchia). Può aiutarci a comprendere il significato di questi atteggiamenti ed espressioni il riflettere sul fatto che gon» (goné) = generazione, discendenza, prole; gÒnoj (gónos) = origine, stirpe, discendenza; gÒnu, gÒnatoj (góny, gónatos, lat. genu, genus) = ginocchio, sono tutti connessi con la radice gon, gen- (che opera nel generare). Supplicare q.u. per le ginocchia significa dunque farlo nel nome della sua stessa vita, per cui il contatto fisico-con e il riferimento-al ginocchio sembrano far appello alla comune umanità che renderebbe empio chi si fosse rifiutato di essere misericordioso e di fare qualche grazia.
C’era questo nel desiderio di Jérôme e nella condiscendenza di Claire? Difficile dirlo, ma non vietato pensarlo.
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