giovedì 25 settembre 2008

Duras#2

Le Square, Paris, Édition Gallimard (“square” in francese “giardinetto”, di solito al centro di una piazza, delimitato da una cancellata) è un romanzo (più che un romanzo un testo per il teatro, che lo ha infatti messo in scena nel 2003) che Marguerite Duras, ha pubblicato nel 1955, fatto di un fitto dialogo tra una cameriera e un venditore ambulante, esempi di quella moltitudine di esseri (tutti noi?) dotati solo di “una identità di morte”, preoccupati esclusivamente della sopravvivenza, che si incontrano e parlano, delle loro difficoltà personali e della comune infelicità.

La conversazione ha spesso i toni di una filosofia popolare, con accenti drammaticamente esistenzialistici che hanno fatto includere Le square nella letteratura dell’assurdo (“È una cosa comune procedere così nella vita, senza sapere affatto perché”. “Niente o nessuno, io credo, ha la missione di ricompensare i nostri meriti personali, soprattutto quelli oscuri e sconosciuti. Noi siamo abbandonati”), in cui si confrontano l’irrazionalità, o forse una razionalità irragionevole, del mondo e il desiderio disperato dell’uomo di risposte, di chiarezza e di senso.

Ma, più che i contenuti del conversare, la cosa importante per questi esseri sofferenti e sperduti è il fatto stesso di chiacchierare, “senza il quale, dicevano queste persone (è la stessa Duras che così scrive nella “premessa” del 1989) non avrebbero potuto sopravvivere alla loro solitudine”. La “chiacchiera” (per Heidegger una delle modalità inautentiche — insieme alla curiosità e all’equivocità — di apertura dell’esserci e del suo costitutivo decadere), pertanto, lascia qui filtrare una possibilità di comunicazione e si presenta quindi come un embrionale superamento dell’angoscia. Il parlare, anche nella sua più brutale banalità, sembra farsi metafora della letteratura che, dicendolo, domina l’assurdo attraverso la magia della parola, svolgendo così una funzione esorcistica, catartica e salvifica.

1 commento:

Riccardo ha detto...

A chi mi chiede se esiste una traduzione italiana debbo rispondere che ne esiste una, salvo errore compresa nel vol. I cavallini di Tarquinia, tr. M. Giunti, Einaudi 1958, esaurito e non più ristampato.