Di
fronte alle stragi di cristiani (e non solo) Papa Francesco sembra in
difficoltà a esprimere una forte condanna e una precisa indicazione di intervento nei casi in cui la linea della
preghiera e della misericordia a tutti i costi rischia di diventare o almeno di
apparire come una forma di complicità con gli aggressori.
Sarebbe
per questo opportuno ricordare come papa Giovanni Paolo II, un papa che non ha
mai cessato di affermare che la guerra non può essere la via per risolvere i
conflitti internazionali, di fronte a quanto stava negli anni Novanta accadendo
nei Balcani e in Medio Oriente, non aveva esitato a operare la definitiva
assunzione del concetto di “ingerenza umanitaria”, abbandonando la dimensione
profetica e collocandosi sul piano della concretezza storica: «Una volta che tutte le possibilità offerte
dai negoziati diplomatici, i processi previsti dalle convenzioni e dalle
organizzazioni internazionali siano stati messi in atto, e che, nonostante
questo, delle intere popolazioni sono sul punto di soccombere sotto i colpi di
un ingiusto aggressore, gli stati non hanno più il “diritto all’indifferenza”.
Sembra proprio che il loro dovere sia di disarmare questo aggressore» (al
Corpo diplomatico, L’Osservatore romano, 17.1.1993). E ancora (nell’Udienza
gen., del 120194): «La Sede Apostolica, da parte sua, non cessa di ricordare il
principio dell’intervento umanitario. Non in primo luogo un intervento di tipo
militare, ma ogni tipo di azione che miri a un “disarmo” dell’aggressore. È
principio che nei preoccupanti avvenimenti dei Balcani trova una precisa
applicazione. Nell’insegnamento morale della Chiesa ogni aggressione militare è
giudicata come moralmente cattiva; la legittima difesa invece è ritenuta
ammissibile e talora doverosa. La storia del nostro secolo ha fornito a tale insegnamento
numerose conferme».
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