In tempi di rottamazione, va segnalato il film di Michel
Azanavicious, The Artist (1012): al
di là del rifiuto del grande attore del muto viene affrontato il drammatico
confronto col nuovo e il superamento delle “competenze” possedute all’affermarsi
di nuove tecnologie/contesti, etc.; happy
and e collaborazione tra le generazioni, ma con evitamento del problema. Suggerirei
di (ri)vedere anche il Silenzio è d’oro
di R. Clair (1947) e Il ladro di Bagdad (1924),
interpretato da Douglas Fairbanks, l’originale.
Trattano di vecchiaia, invalidità e handicap: Michael Haneke, Amour (2012), da non perdere, prevalentemente letto come “la potenza
dell’amore al di là di vecchiaia e malattia”, mentre a me sembra piuttosto
mostrare l’insufficienza dell’amore, che dovrebbe far riflettere i nemici
dell’eutanasia col loro messaggio buonista: “c’è solo bisogno di amore”. Buonismo
spinto troviamo in E. Toledano e O. Nadache, Quasi amici (Les intouchables; 2012), di grande successo, ma irritante nell’occultare,
in chiave umoristica, la tragedia della malattia e i problemi dell’integrazione
degli extracomunitari. Di Jacques Audiard è Un sapore di ruggine e ossa (2012),
nel quale la bravissima Marion Cotillard, oggi sulla cresta dell’onda del
successo, riesce, grazie anche all’abilità
dei responsabili
degli effetti speciali, a dare un’interpretazione realistica di una giovane
privata delle gambe da un infortunio professionale. Anche qui si vuole chiedere
troppo all’amore e alle capacità di ripresa e riscatto, forse per rassicurare
lo spettatore, sempre con operazioni di rimozione.
Al tema della simulazione sono dedicati: Guillaume Canet, Piccole bugie tra amici (Les petits mouchoirs; 2010), intessante analisi
socio-psicologica di in-educazione affettiva, viltà, egocentrismo,
impreparazione di fronte agli eventi tragici della vita in un gruppo di “amici”
di età media e di buon livello sociale. Quanto sono necessarie le bugie nelle
relazioni? E in quali relazioni? E quali sono i costi della simulazione? Di A. de la Patellière e M. Delaporte, Cena
tra amici [Le prénom] (2012;
Parigi) ci porta in una casa di intellettuali che discutono sul nome da dare a un
nascituro. È l’occasione per rivelare le menzogne presenti nei rapporti tra
amici e familiari, in una godibile e spiritosa
commedia, di chiara origine teatrale, nella quale salta il “finto” l’equilibrio
tra due fazioni, quella del professore di sinistra e l’altra dell’immobiliarista
sarkoziniano; happy
and con ritorno di insuperabili simulazioni.
Si esce rinfrancati, invece, dal delicatissimo film koreano di Lee
Chang-dong, Poetry (2010), in cui l’anziana
protagonista vive in un mondo incantato alla ricerca dell’ispirazione poetica,
ma deve fronteggiare la malattia, un nipote in piena stupidità adolescenziale,
le voglie di un cliente invalido, la mancanza di denaro. Il suicidio di una
fanciulla sconosciuta (un sacrificio come quello metaforico delle albicocche
che cadono sulla strada) che sconvolge la sua vita, ma dà anche senso alla sua
fine.
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