Nella lista delle sette
meraviglie del mondo antico (lista compilata da vari autori a
cominciare forse da Antipatro di Sidone, 170-100 a. C.), una delle più
celebrate era il Tempio dedicato alla dea Artemide a Efeso (nella Lidia, oggi
in Turchia), costruito intorno al 560 a. C., nel quale si trovava, ovviamente,
una statua della dea.
Benché abbia i tratti
delle arcaiche divinità degli animali selvatici e della caccia, assimila anche tratti
di altre divinità. Nell’Artemide efesia troviamo assimilati caratteri di una arcaica
signora asiatica della fecondità femminile e il suo simulacro intagliato, che
la leggenda voleva caduto dal cielo, la rappresentava con il petto ricoperto da
numerose file di ”mammelle” per cui era detta polýmastos in
Grecia e multimammia nell’ambito
italico, ove era anche identificata con Diana Nemorense. Le molte repliche della
statua, eseguite in varie località e tempi diversi, hanno conservato la
caratteristica presenza del grappolo di “seni”. A ben guardare, il petto
scolpito mostra mammelle nessuna delle quali ha un capezzolo o un’aureola, per
cui sono tutti seni, come è stato detto, “ciechi”. Da questo fatto è scaturita
una diversa interpretazione, basata su elementi del culto: si sa che il
sacerdote della dea doveva essere un eunuco; quindi, per poterla servire,
doveva castrarsi; successivamente, al posto dei sacerdoti venivano castrati dei
tori e i loro grossi testicoli, conservati in oli profumati, venivano appesi
sul petto della statua lignea in occasione delle feste efesie.
Se i seni vistosi e/o numerosi sono un attributo femminile
ben evidente nelle rappresentazioni delle veneri arcaiche, è interessante il
fatto che il petto dell’Artemide efesia venisse ricoperto coi testicoli dei
tori affinché gli spermatozoi in essi contenuti potessero, nella magia del
rito, fecondarla, consentendo così ad Artemide di svolgere la sua funzione di madre
pur restando vergine. Magia doppia, dunque: fecondazione operata dai testicoli
dei tori nel contatto con la statua e dalla statua (potenza del simulacro!)
alla dea-Terra-Madre. In un contesto culturale che sentiva la terra come madre
e dea, e considerava il maschio come un accessorio del processo riproduttivo, la
funzione materna che doveva assicurare la ricchezza dei raccolti e la fertilità,
animale e umana, risultava più coerente con la verginità che col ruolo di sposa,
per cui possiamo concluderne che la contaminazione delle due figure divine con
la trasformazione della virginea Artemide in una Grande Madre è meno bizzarra
di quel che in un primo momento potrebbe apparire ai nostri occhi. E non va dimenticato (lo stesso Socrate ce lo ricorda nel Teeteto) che Artemide, la dea la più lontana dalla sfera del matrimonio e del sesso, era quella che proteggeva i parti, veniva invocata dalle partorienti e rivestiva il ruolo archetipico della levatrice.
Una tradizione vuole che Maria, la madre di Gesù,
avrebbe seguito ad Efeso Giovanni evangelista è lì avrebbe passato i suoi
ultimi anni, in un luogo quasi già “preparato” a conciliare verginità e
maternità. Il culto mariano avrebbe poi soppiantato quello della dea madre e la
Vergine Maria oscurato le dee madri precedenti, venendo poi fissati come dogmi sia
la nascita verginale di Gesù sia la verginità perpetua di Maria (senza cioè
altri figli e rimanendo vergine prima, durante e dopo il parto, II Concilio di
Costantinopoli del 553 dell’era corrente, per non dire anche del dogma della
immacolata concezione, 1854, e di quello dell’assunzione, 1950).
Tutto questo per arrivare all’ultimo volume della
trilogia che papa B. XVI ha dedicato a Gesù: L’infanzia di Gesù, Roma, Rizzoli-LEV, 2012. Riprendendo il racconto
evangelico sulla nascita di Gesà dalla Vergine Maria che lo avrebbe concepito
per opera dello Spirito papa Ratzinger si domanda: «Questo, allora, è vero? O
forse sono state applicate alle figure di Gesù e di sua Madre delle idee
archetipiche?» Il parto verginale e la resurrezione sono, continua il papa,
interventi diretti di Dio sulla materia, a cui tutto appartiene, quindi anche
la materia, pur se questi interventi sono uno scandalo per lo spirito moderno. «Ma
Egli possiede questo potere e con il concepimento e la Risurrezione di Gesù
Cristo ha inaugurato una nuova creazione» (p. 69).
Viene così, di fatto, riaperto un dibattito sulla natura
del miracolo in generale; su questo in particolare penso vadano fatte due
osservazioni. Di fronte a un fatto inspiegabile di cui si abbia certezza (come,
ad es. una guarigione “inspiegabile”) la mentalità razionale tecnico-scientifica
cerca di trovare nessi causali che possano dare, ora o poi, una spiegazione
dell’evento ”misterioso”, mentre la mentalità “magica” fa appello a eventi di
natura trascendente il mondo dell’esperienza e al di là delle ordinarie
possibilità di verifica: si tratta, dunque, di decidere quale paradigma di
indagine e quale criterio di verità si voglia assumere. Tra le due la scelta
razionale mette in conto di non avere sùbito risposte, ma evita di utilizzare la
non-risposta attuale per legittimare il passaggio da un paradigma all’altro.
La seconda osservazione si riferisce, poi, a eventi —
come nel nostro caso — di cui manca un vero riscontro fattuale: non ci troviamo
di fronte alla gravidanza di una donna segregata, di cui possiamo avere
ragionevole certezza che non abbia avuto occasione di incontrare seme maschile
(così come non ci sono stati testimoni della “rianimazione” del crocefisso
morto, ma solo racconti da parte di chi avrebbe trovato il sepolcro vuoto). Pur
di poter introdurre nell’economia della salvezza elementi che «sono pietre di
paragone per la fede» e segnali di speranza ritenuti indispensabili per proporre
una determinata dottrina (natura spirituale dell’incarnazione — che si avvale
del contributo di un corpo femminile — grande madre! —, ma mette da parte
quello maschile; promessa della sconfitta della morte) si ricorre a una
giustificazione miracolosa per poter asserire che determinati racconti sono
racconti storicamente “veritieri”: non si cerca una spiegazione di un evento
“miracoloso”, ma — a rovescio — si usa il miracolo per poter asserire un fatto!
Ancora una volta, la costante preoccupazione di
affermare la specificità del cristianesimo e la sua diversità da tutti gli altri
fenomeni della storia religiosa dell’umanità si rivela una modalità molto
discutibile al fine di incontrare il mondo moderno e procedere alla cosiddetta
evangelizzazione dei non-credenti, tentando il dialogo col mondo laico. L’integrazione
della storia dei fatti cristiani nella più ampia fenomenologia e storia delle
religioni, che consente di lavorare sugli archetipi e sugli universali presenti
almeno nell’inconscio di tutti noi, è invece la strada che una moderna
ermeneutica ha proposto e cominciato a percorrere. Ciò che potrebbe essere
visto come coerente in una rappresentazione simbolico-poetica propria di una
diversa mentalità (verginità come purezza e diponibilità, simbolismi della
maternità; morte come tappa iniziatica e ritorno alla latenza, etc.), finisce
per diventare un cibo indigeribile quando ci si accanisce a portarlo sul piano
dei “fatti”. Così, nello scontro di paradigmi, il più debole, nel mondo
occidentale avanzato, non può che risultare quello di una fede che si ponga alternativa
alla razionalità, col danno non solo per la Chiesa, ma per tutti, di portare
sempre più avanti il processo di disincanto del mondo.
Nessun commento:
Posta un commento