La mia scarsa simpatia per il Natale, le festività,
ricorrenze e commemorazioni mi aveva fatto lasciare in ombra, tra le commedie di
De Filippo, proprio il Natale in casa
Cupiello. L’indiretta sollecitazione a riguardarla venutami da un amico mi
ha consentito di rivalutarla e farne una lettura addirittura alla luce del
Buddhadharma. Mi spiego: voglio dire che ne ho visto almeno tre aspetti che mi
hanno richiamato atteggiamenti che possono esprimere la visione buddhista
applicata a condotte della nostra più semplice quotidianità.
1. L’inizio è strepitoso! Il “padre” Luca Cupiello, alle
9 del mattino di un 23 dicembre dorme nel letto matrimoniale nella squallida,
fredda e disordinata stanza; la moglie, Concetta, già levatasi, si trascina sciattamente
ancora assonnata, va ad aprire la finestra, cerca di svegliare Luca portandogli
la regolamentare tazza di caffè e chiamandolo ripetutamente con voce monotona, sgarbata,
abitudinaria. Intanto, Tommasino, loro figlio “bamboccione” ante litteram, immagine che potrebbe essere di un appartenente a uno dei più bassi tra i mondi buddhici, quello degli spiriti affamati, dorme
in altro letto nella stessa stanza.
LUCA (si siede in mezzo al letto e si toglie, svolgendoli dalla testa, uno
alla volta, due scialletti di lana e una sciarpa; poi guarda di sbieco la
moglie) Ah, songh’ ’e nnove? Già si sono fatte le nove! La sera sei privo
di andare a letto che subito si fanno le nove del giorno appresso. Conce’, fa
freddo fuori?
CONCETTA Hai voglia! Si gela.
LUCA Io me ne so’ accorto,
stanotte. Non potevo pigliare calimma. Due maglie di lana, sciarpa, scialle...
I pedalini ’e lana... Te ricuorde, Cunce’, […] Cunce’, te ricuorde? Cunce’...?
(La donna non risponde). Cunce’, te ne sei andata?
CONCETTA (infastidita) Sto ccà,
Lucarie’, sto ccà.
LUCA E rispondi, dài segni di vita.
CONCETTA Parla, parla: ti sento.
[…]
LUCA (Prende la tazza, dopo avere inforcato gli occhiali. Sbadiglia)
Conce’, fa freddo fuori?
CONCETTA (irritatissima) Si, Lucarie’, fa freddo (Spazientita). Fa freddo! E basta.
LUCA Eh... Questo Natale si è
presentato come comanda Iddio. Co’ tutti i sentimenti si è presentato. (Beve un sorso di caffè, e subito lo sputa)
Che bella schifezza che hai fatto,
Conce’!
[…]
LUCA Non ti piglià collera, Conce’.
Tu sei una donna di casa e sai fare tante cose. […] Ma ’o ccafè non è cosa per
te.
CONCETTA (arrabbiata) E nun to’ ’o piglià… Tu a chi vuoi affliggere.
LUCA (Posa la tazza sul comodino)
Concetta, fa freddo fuori?
CONCETTA (irritatissima) Si, Lucarie’, fa freddo assai: fa freddo! Ma che si’
surdo?
LUCA Cunce’, ma che t’avesse data
na mazzata ncapa?
CONCETTA Me l’he addimandato già
tre volte: fa freddo.
LUCA Questo Natale si è
presentato...
CONCETTA …Come comanda Iddio.
Questo pure lo avete detto.
LUCA E questo pure l’abbiamo
detto... (Sbadiglia, si guarda intorno
per cercare qualche cosa che lo interessi, non sa nemmeno lui precisamente
cosa. Poi realizza a un tratto e come temendo una risposta spiacevole chiede
allarmato) ’O Presepio... Addó stà o Presepio?
CONCETTA (esasperata) Là, là, nessuno te lo tocca.
LUCA (ammirando il suo lavoro) Quest’anno faccio il piú bel Presepio di
tutti gli altri anni […].
Mentre l’atteggiamento di Concetta è di irritazione e di
piatto aggirarsi nella banalità quotidiana (mondo umano non illuminato), nell’eloquio di Luca ci sono almeno due
aspetti che lo collocano su un diverso livello. Al risveglio, infatti, Luca trema
di freddo, si toglie maglie e sciarpe, come una mummia che ritorni alla vita,
ma pur lamentandosi intercala espressioni rassegnate «E va be’», «Che c’ho ffa»
[espressioni che non compaiono nel testo scritto, ma presenti nella edizione
televisiva del 1977, in DVD], «Lo deve fare [il freddo], è il mese suo», «Questo
Natale si è presentato come comanda Iddio. Co’ tutti i sentimenti si è
presentato» o ripetizioni («Conce’, fa freddo fuori?») che
sanno di palilalìa [ripetizione di una parola, di una frase o di una sillaba
che si ha in alcuni disturbi neurologici] nella forma, ma che ce lo mostrano
consapevole di essere di fronte a un ineluttabile, e l’esperienza
dell’ineluttabile «è l’esperienza», come
si esprime Jung, «della mia particolare volontà di fronte a quella di un altro di
solito più forte, che incrocia il mio cammino con conseguenze spesso
apparetemente devastanti, che mi mette in testa strane idee e a volte spinge il
mio destino in direzioni del tutto indesiderate o gli imprime svolte favorevoli
e inattese, indipendentemente dalle mie conoscenze e dalle mie intenzioni.
Questa strana forza che va contro le mie tendenze coscienti o che invece le
accompagna mi è ben nota. […] Io mi sforzo di far capire ai miei pazienti che
tutto ciò che accade loro contro la loro volontà viene da una forza superiore.
Possono chiamarla Dio o demonio, a me non importa, purché capiscano che è una
forza superiore. Ecco, Dio non è nulla di più che la forza superiore che agisce
nella nostra vita. Si può avere esperienza di Dio ogni giorno»: è questo che mi
fa vedere il risveglio di Luca come un’esperienza religiosa.
E poi Luca, rimproverando alla moglie il modo sciatto, avaro
e approssimativo della preparazione del caffè, esprime il suo rispetto per le
cose («Col caffè non si risparmia»), il suo prenderle sul serio non trattandole
in maniera distratta e svogliata («Non lo sai fare e non lo vuoi fare»).
2. Ma la vera esperienza “trascendente” per Luca è
rappresentata dalla preparazione del presepio, che ogni anno si ripete e gli
consente di vivere e rivivere una elevata esperienza estetico-mistica. Questa
esperienza non è però condivisa dai familiari: rifiutata dal figlio Tomassino,
trattata con indifferenza annoiata da Concetta, trascurata dagli altri, genera
in Luca un sofferto vissuto di solitudine perché, come ormai ben sappiamo, un
piacere che non è condiviso non è un vero piacere e l’emozione non condivisa con
qualcuno riesce a privarci dell’emozione stessa che proviamo (per quella proprietà che
ha la vita di debordare, sovrabbondare, diffondersi…).
3. Il Natale, come spesso accade, si tramuta da festa in
occasione di litigio tra familiari che
si incontrano non sempre volentieri. Così accade in casa Cupiello; Luca ne rimane sopraffatto, cade ammalato,
non può più parlare. Anche questo silenzio, volendo, possiamo leggerlo come un
silenzio mistico, una fuga dalle incomprensioni e dai conflitti, un ritirarsi
in una dolorosa interiorità senza comunicazione. Infine, quando grazie al
dolore per la malattia del padre, Tommasino dirà per la prima volta che il presepio
gli piace, Luca, sulla base di questa raggiunta condivisione, ormai, «perduto dietro quella visione [di un
presepe grande come il mondo], annuncia a sé stesso il privilegio, Ma che
bellu Presebbio! Quanto è bello!» La “conversione” di Tommasino ci può
ricondurre a una parabola contenuta nel Sutra
del loto (cap. XVI): quella del padre medico (immagine del Buddha). Questo
bravo medico, non riuscendo a curare i figli intossicati dal veleno che avevano
assunto, disse
loro che stava invecchiando e che presto sarebbe morto, ma che avrebbe lasciato
loro una medicina, con la raccomandazione di prenderla. Andò via e poi mandò a
casa un messaggero che recava la notizia che egli era morto. I figli, sapendo
della morte del padre, si sentirono soli e abbandonati; la tristezza e i sensi
di colpa fecero loro realizzare quanto fosse opportuno prendere la medicina
lasciata dal padre; la presero e poterono guarire completamente. Udendo che si
erano ristabiliti, il padre poté far ritorno a casa. Come il Buddha con il
mezzo didattico della sua assenza dal mondo può spingere gli uomini a “curarsi”
con la dottrina che ha lasciato e che, grazie a questo espediente, appare loro
in tutta la sua preziosità, così Tommasino solo di fronte al padre gravemente ammalato,
può asserire che il presepio è bello, portando a conclusione questa favola “religiosa” del
grande Eduardo.