1-Da
psicologo, come vede il culto delle reliquie? È solo una questione di credulità
o ha radici più profonde?
Per comprendere
adeguatamente le motivazioni che sono alla base del culto delle reliquie
occorre collocare il problema nel più ampio quadro della psicologia della
memoria e del vissuto corporeo. Reliquia è qualcosa che rimane di un passato
più o meno remoto, che attesta un evento, presenta qualche resto della vita di
una persona e dei legami che, chi ricorda, ha avuto con essi. L’attestazione
avviene poi attraverso un oggetto che entra in contatto diretto col nostro
corpo (qualcosa che si può vedere, toccare, odorare…) ed è quindi fortemente
coinvolgente e attivante i ricordi. Ciò stabilizza l’identità e contribuisce a
dare un orizzonte di senso alla propria vita. Trattandosi di reliquie religiose
è abbastanza ovvio che siano trattate con devozione, timore, ammirazione. Non
molto diverso è, comunque, l’atteggiamento che si ha verso reliquie della vita individuale
(le lettere di un lontano amore, una ciocca di capelli, una penna…) o collettiva
(le bandiere che ricordano le battaglie di un reggimento, oggetti della vita
materiale, di arti e mestieri di un tempo…). I musei di storia della medicina e
della scienza sono dei sacrari in cui sono conservate e ammirate reliquie
laiche. Quindi possiamo dire che quel che viene considerato reliquia determina culto;
è una ovvietà che ci ricorda, ad es., Manzoni quando scrive (P. S., XXXVI) che il
frate, per lasciare un ricordo di sé, «porse la scatola
a Lucia, che la prese con rispetto, come si farebbe d’una reliquia».
2-Perché la religiosità popolare è così
legata alla venerazione delle reliquie, nonostante gran parte di esse sia
palesemente falsa?
Verità e
falsità si collocano all’interno di racconti, quindi ciò che è falso per un racconto
può continuare a essere accolto in una diversa narrazione. La ricerca del Vello
d’oro o del santo Gral non sono, ad es., molto diverse tra loro e anche quello
empiristico-scientifico è un racconto, pur se oggi nell’Occidente sviluppato e
tecnologico ci riconosciamo più facilmente in esso. Ogni racconto ha il suo
lessico e la sua grammatica, ma ciò che non dobbiamo dimenticare e su cui
possiamo confrontarci è la sintassi che mette in relazione i differenti
racconti; in altre parole, la verità del dialogo oltre quella del logo.
per un articolo su BBC History, dicembre 2012
1 commento:
Grazie per i tuoi post che invitano irresistibilmente alla riflessione. Come questo sulle reliquie.
Re- lasciare
-liquus dietro
L'etimologia di reliquia mi fa pensare a qualcosa che si stacca da qualcuno a cui è appartenuta, poi, altri che vengono dietro, cioè i posteri, raccolgono ciò che viene lasciato dal "lasciante" che è andato avanti, scomparso negli abissi del tempo e del divenire (o del...divenuto?). Un lasciante che per chi raccoglie la reliquia ha un significato particolare: aurale, sacro, santo, venerabile, cultuale. La reliquia è un simbolo a cui è legato un significato salvato dall'abisso del divenire in cui era precipitato chi l'aveva "lasciato dietro" quel resto. Contemplando la reliquia, magari toccandola, o meglio ancora possedendola (nell'elsa della spada o all'interno della corona) si tira questo filo, come un pesce d'abisso agganciato ad una lenza, riattivando nella memoria (riattualizzare "facendo" memoria) un significato. Reliquiari religiosi e sacrari laici custodiscono, facendo vedere o intravedere, esponendo o celando, resti di santi/martiri e di eroi/soldati e raccolti da chi (individui, gruppi, comunità, società) dà loro senso e significato, li investe di aura e di sacralità, li carica di valore simbolico (e nel medioevo anche di valore monetario) e così caricati li "lascia dietro" ai posteri dei posteri. Resti reliquizzati, reliquie che diventano reliquie di se stesse.
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