Esami di “maturità”. Più o meno finisce sempre così: tutti
promossi, niente selezione meritocratica, todos
caballeros, spese e fatiche inutili?
Vero, ma non è più così se cambiamo il
punto di vista e guardiamo a questi eventi come al residuo, mascherato e
contraffatto, dei riti di passaggio, cioè di quelle procedure standardizzate,
ripetitive, immodificabili che accompagnano alcuni dei momenti critici delle nostre storie esistenziali (nascita, pubertà, unione sessuale, gravidanza, paternità,
morte) e, in genere, tutti i cambiamenti di stato che si realizzano nel
passaggio da un gruppo umano a un altro (gruppi di età, corporazioni
professionali, società segrete, etc.). I momenti di passaggio (in questo caso
passaggio dall’infanzia/adolescenza all’età adulta — coincidenza quasi
universale degli esami di maturità col compimento del dicittesimo anno!) sono
accompagnati da crisi perché ci si viene a confrontare con una realtà che
sfugge alla comprensione, al controllo e all’intervento: per questo essi sono
stati tradizionalmente ritualizzati al fine di trasferirli da un dominio
naturale a uno culturale. Attraverso il rito, l’avvenimento acquista una
valenza socio-culturale, l’individuo assume statuto e responsabilità nuovi
e l’avvenimento è ricondotto, con la ripetizione rituale, a un tempo mitico (illud tempus) in cui l’azione fu
praticata da fontatori mitici; così facendo, si è ricondotti a una realtà sacra e
metastorica: l’evento sottratto alla incomprensibile necessità naturale
acquisisce un nuovo significato culturale /religioso.
In questa prospettiva, anche
gli esami “di maturità”, privi di senso a una osservazione funzionale,
laica, economicistica, assumono un possibile significato educativo e rimangono una di quelle esperienze che si ricordano in tutto il corso della vita.
Nei riti di passaggio l’antropologia ha
individuato l’esistenza di una struttura tripartita, una
sequenza in tre tempi in cui si possono distinguere una fase di separazione
dalla condizione o gruppo precedente, una fase di segregazione, una fase finale
di aggregazione che segna l’ingresso nella nuova condizione (con i
corrispondenti riti preliminari, liminari, postliminari). Anche nel periodo
degli esami si possono individuare tali momenti “tipici”: di separazione (fine del
periodo scolare precedente), segregazione (ansiosa), con le prove di resistenza
e di sfida (occorre star bene in salute, sopportare “umiliazioni”, dare prova
di rispetto di regole, essere presenti agli appuntamenti, prendere parte a una
recita “culturale”); di riaggregazione (la “promozione”, il “passaggio”).
A proposito di passaggi, vale la pena ricordare quello
che per il pensiero simbolico è il più tipico esempio: la porta, simbolo di tutti i
transiti. Essa, infatti, delimita ambienti, mondi, realtà diversi: mondo
esterno e intimità della casa, pubblico e privato, luce e ombra, conosciuto e
incognito, sacro e profano…; varcare una soglia (spesso sede di guardiani e
divinità particolari) significa entrare in un mondo diverso da quello in cui ci si trovava prima ed è, pertanto, un atto importante, che troviamo accompagnato da riti (vedi matrimonio e morte).
Usanze tradizionali
assegnavano importanza diversa alla porta principale della casa (consacrata da
riti ad hoc e che bisognava proteggere dalle contaminazioni) e alle porte secondarie. La donna gravida o
mestruata non poteva, ad es., passare dalla porta pricipale e il morto aveva
una porta o finestra speciale (porta del morto, contraddistinta dalla strettezza e dall'avere la soglia a un livello rialzato rispetto a quello stradale; rimaneva quasi sempre murata e veniva aperta al bisogno) dalla quale veniva fatto uscire
dalla casa. La gerarchia delle porte presente anche nel “nostro” mondo
“maschera” i significati tradizionali con giustificazioni sociali, estetiche,
igieniche.
Anche
l’arco di trionfo “romano” rappresentava una porta, di fronte alla quale il
trionfatore doveva compiere riti di purificazione e ringraziamento che gli
consentivano di “separarsi” dal mondo nemico (col quale era stato
necessariamente in un contatto contaminante) e rientrare nel mondo romano.
La cultura balinese, dominata dal
contrasto tra le forze opposte del bene e del male, del maschio e della
femmina, della magia bianca e della magia nera, esprime questa opposizione nelle
caratteristiche porte “spaccate” (sui cui alti zoccoli varie raffigurazioni
hanno il compito di allontanare gli spiriti del male in agguato sulla soglia), un simbolo
tragico di lacerazione, oltrepassando il quale si può accedere a stadi successivi di perfezione.
Gesù (Gv 10, 9) si
definisce come porta e come tale svolge la sua missione salvifica: «Io sono la
porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà
pascolo». Egli invita a entrare «per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione» (Mt. 7, 13), ma incantevolmente sontuosa si presenta la Porta del Paradiso realizzata dai Ghiberti per il Battistero di Firenze. Comunque, contro la chiesa da Lui edificata «le porte degli inferi non prevarranno» (Mt. 16, 18).
Tipiche le porte giapponesi (dette Torii, forse in origine sostegno di uccelli sacri, a loro volta identificati
con le anime dei defunti) che individuano i santuari shintoisti e svolgono la tradizionale
funzione di delimitare i due spazi, sacro e profano, segnando a volte — se
messe in serie — percorsi di progressiva purificazione. I Torii sono oggi divenuti quasi il simbolo dell’identità culturale
del Giappone.
Bassa, in modo che si entri col
capo chino in segno d’umiltà e venga rimarcato il passaggio tra ambienti
divesi, è la porta delle stanze usate per la cerimonia del tè in Giappone.
Separazioni e ritorni più o meno ritualizzati
(anche nella nostra cultura “secolarizzata”) si hanno nel varcare
una soglia per salire in una vettura, un’imbarcazione, una portantina per
intraprendere un viaggio o, di ritorno da esso, per rientrare nel mondo proprio
e consueto. L’ingresso o l’inaugurazione
di un edificio o di una casa richiedono anch’essi riti di eliminazione di tabù,
sacrifici, cerimonie di lustrazione, abluzione, commensalità (nelle nostre società: posare la "prima pietra" all'inizio o esporre la bandiera al completamento della costruzione marcano tali momenti significativi; in Francia pendre la crémaillere, ossia "attaccare la
catena nel camino", significa il pranzo di inaugurazione della nuova dimora).
Infine, per quanto riguarda la morte, passaggio
che consente l’aggregazione del defunto alla società dei morti e l'ingresso in una diversa condizione esistenziale, vari sono i riti che
interessano sia il morto che i parenti sopravvissuti, anch'essi differenziabili secondo
lo schema tripartito. Ma di questo, in altra occasione.
tipica porta balinese (foto RV)
Il Torii più turisticamente noto (da Wikipedia.it)
serie di Torii nel santuario Fushimi lnari-taisha, Kyoto(da Wikipedia.fr)
porta della stanza del tè (foto Soshitsu Sen)
porta del morto in casa semidiruta del XIV sec. in Montelparo (Marche) (foto RV)
1 commento:
Caro Riccardo,
così la penso sulle porte (reali e simboliche).
Ogni porta segna un confine che protegge ed alimenta l'Id-entità (es. cellula, organismo, coscienza, etc..) dall'indeterminato (alterità). Molti Rituali di PROTEZIONE simbolizzano questa funzione.
Ogni porta può segnare anche il passaggio verso altro e altrove, il trascendere, la crescita, il mutamento, la metamorfosi, la morte-rinascita (Rituali di PASSAGGIO).
Grotowsky diceva che la nostra esistenza è come un cammino lungo le stanze di un edificio sconosciuto, che esploriamo aprendo una porta per volta, senza poter fare ritorno.
Come saper scegliere le porte "giuste"??
E le sorprese non mancano mai!
Un abbraccio,
Pino.
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