Perché l’Essere possa dirsi
veramente esistente (cioè differente dal Nulla) è
necessario che sia Vacuità non solo rovesciata
in molteplicità, ma anche (e
soprattutto) rovesciata in molteplicità cosciente. Come
rispondendo alla domanda del detto cinese: «Se un albero cade nel bosco e
nessuno è là ad ascoltarlo fa rumore?», Jung affermava: «Il mondo può esistere a due condizioni: essere, ed
essere conosciuto» (Opere, XVI, p. 100), e: «Buddha intuì e intese la dignità cosmogonica della
coscienza umana; per questa ragione vide chiaramente che se un uomo riesce a
estinguere la luce della coscienza il mondo cade nel nulla» (Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, cit., p. 332 s.).
L’Essere, dunque, esiste e si
sa mentre il non-Essere non esiste e non si sa. Che esistenza e coscienza siano
un valore è certamente un postulato, assunto quasi universalmente, anche se non
vanno dimenticati quanti hanno manifestato il loro disaccordo sul postulato:
tra essi, oltre ai grandi “pessimisti” (Leopardi, Schopenhauer, Dostojevski,
Cioran…), possiamo ricordare pensatori nihilisti “sistematici” (negatori dell’Essere,
si badi, non dal punto di vista ontologico — negazione-affermazione che
porterebbe alla nietzschiana contraddizione del Cogito ergo est — ma da quello del suo valore) come furono, ad es.,
K. R. Eduard von Hartmann (1842-1906), che ha
sostenuto la perfezione del non-Essere e propugnato uno sforzo collettivo verso
la non-esistenza del mondo e la quiescenza cosmica, o Egesia di Cirene (III secolo a.C.), detto “persuasore di morte”
per aver spinto al suicidio diversi tra i suoi
discepoli, secondo il quale, essendo i piaceri della vita pochi e molti i
dolori, la morte sarebbe da considerare come il vero piacere. Attualizzazione,
dunque, di quanto con Teognide (vv. 425 ss.: «Tra tutte le cose per gli uomini
la migliore è non nascere e non vedere la luce violenta del sole, e per chi è
nato varcare al più presto le porte dell’Ade»), Sofocle (Edipo a Colono, vv. 1224 ss.: «Non essere nati vince ogni guadagno;
ma una volta venuti alla luce, tornare presto là donde si venne è senz’altro il
rimedio migliore») e altri il cosiddetto pessimismo greco arcaico aveva già sentenziato.
È,
comunque, da quel postulato che scaturiscono la dignità e i possibili compiti dell’Uomo, espressione
della Realtà Ultima e partner del
Dharma/di Dio nel processo della “creazione”, “sostegno”
(ricordando che Dharma, dalla radice dhr, è proprio “sostenere”) di un mondo
consapevole e “aperto”, offerto alla sua azione e al suo coraggio: la Vacuità, proprio perché vuota, “cerca” perennemente
espressione e determinazione; il mondo e la sua storia non sono conclusi, e la
Vita, come realtà “aperta”, è sempre in attesa di un’azione creativa,
prosecuzione della creatività e dell’espansione del Dharma eterno.
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