Ancora una visione dell’eccesso. Siamo
nel mondo ebraico e Sedecia (in ebr., il
Signore è la mia integrità/il mio diritto) fu l’ultimo re (597-586 a. C.) di Giuda (il
regno del sud, nato dalla scissione del regno unitario: Israele, a nord; Giuda
a sud), nel periodo del dominio babilonese. Ribellatosi a Nabucodonosor al
quale aveva giurato fedeltà, il suo comportamento determinò la rovina
definitiva della nazione ed egli stesso fu catturato e portato dal re con i
figli e le mogli. Scrive Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche, X, 140): Nabucodonosor
«ordinò che figli e amici fossero uccisi sul posto sotto gli occhi dello stesso
S. e degli altri prigionieri, poi cavò gli occhi a S., lo mise in catene e lo
portò in Babilonia». Punizione venuta dall’“alto” (più in alto di una mano
umana), l’ultima visione di Sedecia fu dunque quella dei suoi figli che
venivano sgozzati: atroce, inumana, pienezza abissale del male e, pertanto, visione
“sacra” (aspetto tremendum del sacro), qualcosa vista la quale non è più
possibile vedere oltre e vivere una vita ordinaria. Come Edipo dopo la
rivelazione della natura del suo comportamento, Sedecia si trascinò nella sua
rovina per alcuni mesi (morì poco dopo, nel 585), vivendo — anche se ne
ignoriamo gli aspetti soggettivi — quella che possiamo considerare la sua
espiazione, nella miseria che resta a chi sia stato “fulminato” dalla sovrabbondanza
di sacro.
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