Jean Giono (1895-1970) è stato uno scrittore che la critica ha avuto difficoltà a “collocare”, etichettandolo come autore “regionalista”, pacifista, collaborazionista, stendhaliano… La sua “maniera” è passata, infatti, attraverso una profonda mutazione, dal roman de terroir al roman moral, da una visione animistica, pampsichistica, di comunione fusionale con la natura a una consapevolezza più matura, riflessiva, tragica, di un mondo che divora le forme.
L’Ussaro sul tetto, il suo romanzo più celebre, è la storia di un ufficiale piemontese di cavalleria, carbonaro, in fuga dal suo Paese agli inizi degli anni Trenta del secolo XIX, che cerca rifugio in Francia e si imbatte nell’epidemia di colera che colpì parte dell’Europa in quel periodo. Le peregrinazioni, un amore intenso, ma più che “platonico” senza nome e non dichiarato; le viltà, crudeltà, ambizioni politiche degli uomini messi in situazioni estreme si contrappongono allo spirito cavalleresco, alla fedeltà alla propria immagine ideale, alla generosità quasi autodistruttiva del protagonista. Il colera può essere letto come allegoria della guerra, delle malattie morali, del fascino della dissoluzione, al quale si può forse sfuggire individuando qualcosa di più forte, più bello, più seducente della morte. Come, sicuramente, la felicità dello scrivere, la narrazione fluida, le avventure, le immagini e le metafore smaglianti proprie di Giono: per esempio, «[le tegole] erano bagnate da uno sciroppo di luce quasi opaco… la scacchiera di un tetto, la seta di un muro, l’orbita di una finestra… le cinciallegre impazziscono e gettano schizzi azzurri nel sole…».
Di questo romanzo esiste un adattamento cinematografico dovuto a J.-P- Rappeneau (1995), ben interpretato (Juliette Binoche, Olivier Martinez, Gérard Depardieu, Claudio Amendola, Pierre Arditi…), curato, dignitoso anche se, come quasi sempre, troppo scarno rispetto alla ricchezza e allo stile del libro.
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