venerdì 16 settembre 2011

Consolazione#5/Belli e i Confortatori


Esisteva, nella Roma papale, la Confraternita fiorentina di San Giovanni, che si era dato il compito di assistere i condannati a morte, confortarli, raccoglierne le estreme volontà, farli morire “in grazia di Dio” e poi curarne la sepoltura. Il condannato veniva accompagnato, dalle carceri (Tor di Nona, via Giulia…) al luogo dell’esecuzione (Campo de’ Fiori o piazza del Popolo…), da questa lugubre comitiva nerovestita e da un sacerdote. Chi rifiutava questo tipo di assistenza veniva, poco caritatevolmente, sepolto in terra “sconsacrata”, in fossa comune e senza riti. Come si può immaginare, questi consolatori istituzionalizzati mostravano spesso comportamenti convenzionali, stereotipati ed enfatici che non potevano sfuggire alla critica popolare e all’osservazione caustica di G. G. Belli, il quale dedicò loro il seguente sonetto intitolato, appunto, Er Confortatore (ci ricorda niente di attuale?):

Sta notte a mezza notte er carcerato
sente uprì er chiavistello de le porte,
e fasse avanti un zervo de Pilato [mandatario del tribunale]
a dije: “Er fischio [il fisco, il magistrato] te condanna a morte”.
Poi tra du’ torce de sego incerato,
co du’ guardiani e du’ bracchi de corte [sbirri],
entra un confortatore ammascherato [col saio nero e cappuccio],
coll’occhi lustri e co le guance storte [in espressione studiata].

Te l’abbraccica ar collo a l’improviso,
strillanno: “Alegri, fijo mio:
riduna le forze pe volà su in paradiso”.

“Che alegri, cazzo! Alegri la luna!”
quello arisponne: “Pozziate èsse acciso;
pijatela pe vvoi tanta furtuna”.


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