Chi pensasse che quello della teodicea sia un vecchio tema, ricordo degli studi liceali, lontano dalla nostra vita e dai nostri problemi (ma vedi, in questo blog, i post in data 17 gen. 2010 e 8 apr. 2009), dovrebbe andare a vedere l’ultimo film dei fratelli Cohen, A Serious Man.
Larry Gopnik è un tranquillo ebreo americano, che vive nel Midsex anni Sessanta, insegna fisica all’università e ha una famiglia scombinata come tante. Ma, ad un certo punto della sua modesta esistenza, incontra una serie di sventure che ricodano, siamo in un contesto ebraico, le piaghe d’Egitto o le disgrazie di Giobbe: la moglie lo abbandona per un obeso sentenzioso e carismatico nella sua formale osservanza, i figli esibiscono tutto il loro egoismo adolescenziale, il fratello disoccupato e disadattato si installa nel suo appartamento ed è coinvolto in una serie di vicende antisociali, uno studente cerca di corromperlo e ricattarlo, un collega senior gli fa discorsi destabilizzanti, il vicinato gli offre il sex-appeal inquietante di una prorompente quarantenne fumatrice di marijuana e i comportamenti aggressivi di un cripto-fascista... Ce n’è abbastanza per metterlo in crisi e liquefare le sue poche superficiali certezze di intellettuale piccolo-borghese. Ricorrere ai tradizionali rappresentanti dell’autorità religiosa comunitria per tentare di dare un senso alle sue disgrazie è comico e disperante. Nessuno sa più dire una parola sensata e bisogna prendere atto che non ci sono sicurezze da nessuna parte, come emblematicamente mostra la conclusione di una lezione nella quale Larry ha riempito la lavagna di calcoli micidiali: l’esibizione di tutta quella certezza matematica esita nel principio di indeterminazione di Heisenberg che, portato nella nostra vita, equivale a dire che non possiamo esser sicuri di niente.
Il film inizia con un prologo costituito da una storia ambientata in Europa orientale, in bianco e nero a significare “tanto tempo fa”, recitata in yiddish, una storia di spettri, di peccato, di mancanza di fede: qualcuno, tornando a quella storia, potrebbe insinuare che l’incertezza di oggi è generata dall’abbandono della tradizione e delle regole, qui quelle ebraiche, ma il discorso è ovviamente di carattere generale. L’aspetto più drammatico è proprio che, ogni volta che le strutture di senso sono assoggettate a una perdita dei significati e dei valori originari, i vecchi riferimenti non aiutano più: di fronte al dolore, individuale e collettivo, non serve dire che non capiamo i misteriosi disegni di Dio, non va più cercata una relazione di causa-effetto tra peccato e punizione, non ci rasserena affatto parlare di casualità. Le nicchie idenditarie isolano più che difendere, ma siamo ancora lontani da nuove comunità di destino; va sgombrato il campo dai rottami dei significati smarriti, ma non è facile inventarne di nuovi sotto un “cielo deserto” (Sartre), un cielo su cui si chiude il film annunciando, a una comunità impaurita, l’arrivo di nuove minacciose tempeste...
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