Con l’augurio di un Natale e di un 2010 pieni di (maggiore) armonia, vi invio l’elogio della musica scritto da Pindaro e quello scritto da Shakespeare.
Cetra d’oro, tra Febo e le Muse dai riccioli viola tesoro indiviso, che induci i passi alla danza, principio di festa, e i cantori secondano i segni quando propaghi percossa gli accordi dei preludî ai cori seguaci; e spegni dal fuoco perenne la folgore astata: dorme sullo scettro di Giove l’aquila, sui fianchi abbandonate le ali veloci, sovrana degli uccelli, cui il capo grifagno avvolgevi d’una nuvola buia che serra le palpebre soave; e arca il madido dorso nel torpore, vinta dalle tue onde. E Ares il violento, lasciata l’aspra cuspide delle aste, di letargo rasserena il cuore; penetrano i tuoi dardi l’animo anche dei dèmoni, per arte del Letoide e [del]le Muse dal seno profondo. Ma quanti Giove non ama sgomentano udendo la voce delle Pieridi, sulla terra e sul mare indomabile e anche nel Tartaro orrendo il nemico dei numi, Tifone dai cento capi... (Pindaro, I Pitica; tr. di Leone Traverso)
L’uomo che non ha musica nel cuore ed è insensibile ai melodiosi accordi è adatto a tradimenti, inganni e rapine; i moti del suo animo sono spenti come la notte, e i suoi appetiti sono tenebrosi come l’Erebo: non fidarti di lui. Ascolta la musica (W. Shakespeare, Il mercante di Venezia, V, 83-88; tr. di Sergio Perosa)
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