mercoledì 29 luglio 2009

Cariatidi e simili#12/Parigi


Portatrici d’acqua (rue de l’Estrapade)


e di luce (le torchères di F. Chabaut, rue Halévy, Opéra Garnier)


(foto RV)

domenica 26 luglio 2009

Schermaglie#9/Vivere la Vacuità/Ozu, Akibyori (Tardo autunno), 1960

Anche in questo film il soggetto è costituito dalla preoccupazione per una figlia in età da marito. Questa volta però la relazione familiare fondamentale è tra la madre-vedova e la figlia, mentre quelli che sembrano più impegnati per risolvere il problema sono tre amici del padre morto. Fino a quando non verrà fatto credere che la madre è pronta a risposarsi la figlia non si deciderà al grande passo (non accettando di abbandonare la madre a una vita di solitudine), dopo essere passata per una fase di indignazione per la scelta della madre giudicata immorale, vista come tradimento della memoria del padre. Dopo la riconciliazione, in nome di una condotta non-egoistica, la madre confesserà e la storia può concludersi con una di quelle indimenticabili scene di Ozu, in cui la madre, ormai conciliata con l’inconciliabile, contempla il suo futuro di solitudine in un atteggiamento di composta malinconia. Non è passiva rassegnazione, ma l’assunzione dignitosa di responsabilità di fronte all’ineluttabilità degli eventi che rispondono a una Legge che trascende la volontà e i sentimenti degli uomini (per questo si parla di “trascendente” nel cinema di Ozu).
Gli innumerevoli aspetti formali (ancora i treni, l’effetto cornice — inquadratura fissa che sottolinea l’immutabilità dell’impermanenza! — i particolari di oggetti e situazioni “ordinari”) e narrativi (gli ambienti modesti e tutti uguali, la divisione dei luoghi dove trovano espressione gli affetti, la casa; le confidenze e i ricordi tra amici, i bar; le attività sociali, luoghi di lavoro), gli “accenni” a una natura “accogliente” che fa da sfondo tranquillo alla malinconia dei distacchi e delle perdite, sono gli usuali “ingredienti” usati da Ozu per offrirci questi capovolavori di consapevolezza, in cui la ripetizione conduce al di là delle vicende per offrire uno sguardo “altro” sulla condizione umana.

martedì 21 luglio 2009

Curanderos, buddhisti inconsapevoli?

Molti europei, ogni anno, si recano in Perù per un “viaggio” all’interno della propria mente/anima sotto la guida di sciamani/guaritori. Viene loro somministrata una bevanda, detta “Ayahuasca” (o liana amara), che si compone di estratti di piante, principalmente da una liana del genere Banisteriopsis e da altre foglie. Questa miscela è stata ed è studiata dal punto di vista farmacologico, ma quel che ho trovato più interessante è che alle due componenti vengano attribuiti effetti, a una, se posso riassumere, di “energia” e, all’altra, di “visione”. Dice uno sciamano, intervistato: la prima da sola non serve a niente e la seconda da sola non fa “vedere” nulla, per cui occorre miscelarle. Come non pensare all’unione di shamatha e vipashyana, secondo gli insegnamenti spirituali dell’Onorato dal mondo?

domenica 19 luglio 2009

Gioco ermeneutico#2/Fedone


Il celebre dialogo platonico Fedone inizia con la richiesta che Echecrate, uno dei pitagorici di Fliunte, rivolge a Fedone di narrargli del giorno in cui Socrate bevve nel carcere il farmaco che lo condusse alla morte. Più volte, ci si sofferma sulla presenza di allievi e amici in quel giorno, quasi per autenticare il racconto (come nei sutra buddhisti in cui all’inizio si dichiara: “Così ho udito”). Fedone elenca pertanto alcuni dei presenti e aggiunge: “Platone, credo, era ammalato”. Dunque, Platone era assente e l’Autore del dialogo, cioè Platone stesso, introduce la parola “credo”, quasi per una lieve attenuazione dubitativa, ma non dà altre informazioni.

A questo punto, ci domandiamo: come possiamo interpretare l’assenza di uno dei discepoli più significativi dalla scena finale della vita e dell’insegnamento di Socrate? Se, come tutto lascia supporre, si trattava di una malattia “diplomatica”, perché questo espediente?

La morte di Socrate di Jacques-Louis David (1748-1825): la figura a sinistra, probabilmente Platone, comunque incluso dal pittore nella scena.

giovedì 16 luglio 2009

Sul rendere "commestibile"

“Qualunque sia la loro preparazione, i gamberi devono sempre essere ben lavati e privati del loro intestino, la cui estremità si trova al centro della coda: la si afferra con la punta di un piccolo coltello e la si estrae con delicatezza, perché non si spezzi. Questa operazione va compiuta solo nel momento in cui si stanno per cuocere i gamberi”, Auguste Escoffier (1846-1935), Il grande libro della cucina francese, tr. it., Roma, Newton & Compton Editori, 2001. Furio Jesi, studioso di mitologia e germanistica, è partito da questa raccomandazione del sommo cuoco francese per alcune considerazioni di grande capacità penetrativa e applicabili in vari contesti. Costruendo un’analogia tra analisi del mito e preparazione del gambero, egli scriveva: “Aver fame di miti: vuol dire prepararsi a mangiare i miti quando deporranno le loro corazze. Poiché altrimenti sono immangiabili. Si tratta di sgusciare dei gamberi, già bolliti al fuoco della cerca affinché assumessero cuocendo il colore rosso che è l’oggetto vero della nostra fame. Questo colore rosso è il colore di ciò che è morto e, morendo, assume il colore di ciò che è vivo, maturo, piacevolmente commestibile. Lo scopo della moderna scienza del mito o della mitologia, lo scopo dei mitologi moderni, è questo: avere sulla tavola qualcosa di molto appetitoso, che senza esitare si direbbe vivo, ma che è morto e che, quando era vivo, non possedeva un colore così gradevole. Il colore della vita non è una prerogativa molto frequente di ciò che è vivo. Ciò che è vivo non è sovente molto commestibile per noi e il colore della vita è ai nostri occhi il colore di quel che mangiamo con viva soddisfazione” (Materiali mitologici, Torino, Einaudi, 1979). Cosa devono “perdere” il sacro, il corpo, la coscienza... per divenire “commestibili”?

mercoledì 1 luglio 2009

Cariatidi#11/un angelo a Parigi


(foto RV)
Un angelo è rimasto impigliato, in rue de Turbigo (Parigi), tra lampioni, alberi, balconi e biciclette. Così bello e diverso, non può rimanere lì: cerchiamo di liberarlo.


Réversibilité

Ange plein de gaieté, connaissez-vous l’angoisse,


La honte, les remords, les sanglots, les ennuis,


Et les vagues terreurs de ces affreuses nuits


Qui compriment le coeur comme un papier qu’on froisse?


Ange plein de gaieté, connaissez-vous l'angoisse?


Ange plein de bonté, connaissez-vous la haine,


Les poings crispés dans l'ombre et les larmes de fiel,


Quand la Vengeance bat son infernal rappel,


Et de nos facultés se fait le capitaine?


Ange plein de bonté, connaissez-vous la haine?


Ange plein de santé, connaissez-vous les Fièvres,

Qui, le long des grands murs de l’hospice blafard,


Comme des exilés, s’en vont d’un pied traînard,


Cherchant le soleil rare et remuant les lèvres?


Ange plein de santé, connaissez-vous les Fièvres?



Ange plein de beauté, connaissez-vous les rides,


Et la peur de vieillir, et ce hideux tourment


De lire la secrète horreur du dévouement


Dans des yeux où longtemps burent nos yeux avides?

Ange plein de beauté, connaissez-vous les rides?


Ange plein de bonheur, de joie et de lumières,


David mourant aurait demandé la santé


Aux émanations de ton corps enchanté;


Mais de toi je n'implore, ange, que tes prières,


Ange plein de bonheur, de joie et de lumières !




Reversibilità

Angelo pieno di letizia, conosci tu l’angoscia,
i singhiozzi, le onte, le accidie, i pentimenti,
le notti insonni piene di confusi spaventi,
che comprimono il cuore come un foglio che viene accartocciato?
Angelo di letizia, conosci tu l’angoscia?

Angelo pieno di bontà, conosci tu l’odio, i pugni stretti dentro l’ombra e le lacrime di fiele,
quando la Vendetta suona a infernale raccolta e si fa capitano delle nostre virtù?
Angelo di bontà, conosci tu l’odio?

Angelo pieno di salute, conosci tu le Febbri, di quelli che se ne vanno lungo i muri scialbi dell’ospizio, come esuli,
con piede malfermo e con tremanti labbra cercando un raro sole?
Angelo pieno di salute, conosci tu le Febbri?

Angelo pieno di bellezza, conosci tu le rughe,
la paura d’invecchiare e quel tormento orribile di leggere in occhi, dove i nostri attinsero avidi un tempo, il segreto orrore della devozione?
Angelo di bellezza, conosci tu le rughe?

Angelo pieno di felicità, di gioia e di luci,
Davide in fin di vita avrebbe domandato
la salute agli effluvi del tuo corpo incantato,
ma a te io non chiedo, angelo, che le tue preghiere,
angelo pieno di felicità, di gioia e di luci!

Charles BAUDELAIRE