Il celebre dialogo platonico Fedone inizia con la richiesta che Echecrate, uno dei pitagorici di Fliunte, rivolge a Fedone di narrargli del giorno in cui Socrate bevve nel carcere il farmaco che lo condusse alla morte. Più volte, ci si sofferma sulla presenza di allievi e amici in quel giorno, quasi per autenticare il racconto (come nei sutra buddhisti in cui all’inizio si dichiara: “Così ho udito”). Fedone elenca pertanto alcuni dei presenti e aggiunge: “Platone, credo, era ammalato”. Dunque, Platone era assente e l’Autore del dialogo, cioè Platone stesso, introduce la parola “credo”, quasi per una lieve attenuazione dubitativa, ma non dà altre informazioni.
A questo punto, ci domandiamo: come possiamo interpretare l’assenza di uno dei discepoli più significativi dalla scena finale della vita e dell’insegnamento di Socrate? Se, come tutto lascia supporre, si trattava di una malattia “diplomatica”, perché questo espediente?
La morte di Socrate di Jacques-Louis David (1748-1825): la figura a sinistra, probabilmente Platone, comunque incluso dal pittore nella scena.
6 commenti:
Lei come la spiega? Vorrà mica lasciarmi col dubbio? :)
il "gioco" è appena cominciato: aspetto le vostre ipotesi...
DIMI-CHI ha detto...
Dialogo tra tombe
-Mi sembra che c'eri alla mia festa...
-Non ne sono certa;
-..................
mi viene in mente l'inizio di una frase:
"sì, certo, si può dire che",
ma ormai non mi ricordo come finisce.
Arrivederci...
-Colui che si inchina e
colui a cui viene rivolto l'inchino
sono vuoti:
per questo la comunicazione tra loro è assolutamente perfetta!
Fuori dal cimitero
1a voce- Può il discepolo testimoniare la morte del Maestro senza mettere in dubbio la sua esistenza come discepolo?
2a voce- Forse no;
ma, la frase "interelazione globale" quanto tempo dura?
e in quale spazio?
3a voce- Continuano a rivolgerci la parola, ma i loro "contrassegni" (Chi-I) hanno ormai un altro sapore.
Giovanni Reale ha pochi dubbi. A pagina 71 della raccolta dell'opera omnia platonica (Platone. "Tutti gli scritti". Bompiani, Milano, 2008) riporta: "La spiegazione più probabile del fatto che Platone si citi qui come malato sarebbe questa: egli vuole rendere il lettore avvertito del fatto che quanto farà dire a Socrate non è la pura verità storica". Reale prosegue sul tema con la nota n.19 a pag. 123-4 dello stesso testo dove continua: "Platone non presenta in questi dialoghi un documento storico, ma mette in bocca a Socrate le proprie convinzioni metafisiche e fornisce la grandiosa dimostrazione del mondo intelligibile delle Idee e dell'essere metasensibile.". Che l'opera di Platone possa rappresentare una "grandiosa dimostrazione" è ovviamente una rispettabile opinione del filosofo cattolico, tuttavia è evidente come le dottrine teologiche riportate nel Fedone non siano attribuibili in alcun modo a Socrate.
Nel suo commento al Fedone del 1931 Manara Valgimigli osservava: "Non c'è ragione di supporre che Platone non fosse realemnte ammalato; e a ogni modo la parola 'credo' non è che un tocco della viva naturalezza del dialogo, dove è Fedone che racconta, non Platone, il quale sempre si immerge e si dimentica nei suoi personaggi.
Bruno Centrone, invece, nel suo commento del 2000, scrive: "È difficile interpretare la proclamazione della propria assenza (a meno che essa non rifletta la realtà storica); sicuramente essa sta 'anche' a significare che il Fedone non è un resoconto storicamente veritiero, ma un 'logos? composto nelo sprito di Socrate".
Attendiamo altri contributi.
Per concludere il gioco, noto che alcuni di voi hanno inviato osservazioni per email non utilizzando il canale già predisposto per il blog; quindi tali osservazioni non compaiono tra i commenti. Ne raccolgo, tuttavia, una, inviata da R. che dice: «Come scrive Feyerabend: "I primi dialoghi che Platone scrisse dopo la morte di Socrate non avevano nulla a che vedere con la sua scomparsa (..). L' Apologia, il Fedone e il Teeteto vennero dopo, presumibilmente dopo che Platone aveva assimilato la dottrina pitagorica della vita ultraterrena". C'è da pensare che l'assenza di Platone avesse un significato allegorico: non c'era perché non aveva ancora capito l'importanza di quel momento». Al contrario, per parte mia, e sono in accordo con una osservazione che ho sentito espressa dal filosofo francese Charles Pépin, questa lontananza fisica in un momento così importante, potrebbe voler rimarcare la lontananza dottrinale di Platone dall’insegnamento di Socrate. Coi suoi dialoghi, Platone avrebbe pagato il debito di riconoscenza al suo Maestro e Socrate non sarebbe soltanto una maschera drammaturgica per esprimere le sue idee, ma parlerebbe in proprio. Le idee di Platone forse non coincidevamo con quelle “pitagoriche” del Maestro e si sarebbero orientate, invece, verso una saggezza e una condotta più interessata al mondo, alla politica, all’azione piuttosto che alla vita ultraterrena e alla filosofia come preparazione alla morte attraverso il non-attaccamento al corpo, ai piaceri e agli affetti. Dunque, un Platone assente perché non vuole sottoscrivere la tesi dell’immortalità dell’anima e della separazione anima-corpo: un Platone mahayana?
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