domenica 26 luglio 2009

Schermaglie#9/Vivere la Vacuità/Ozu, Akibyori (Tardo autunno), 1960

Anche in questo film il soggetto è costituito dalla preoccupazione per una figlia in età da marito. Questa volta però la relazione familiare fondamentale è tra la madre-vedova e la figlia, mentre quelli che sembrano più impegnati per risolvere il problema sono tre amici del padre morto. Fino a quando non verrà fatto credere che la madre è pronta a risposarsi la figlia non si deciderà al grande passo (non accettando di abbandonare la madre a una vita di solitudine), dopo essere passata per una fase di indignazione per la scelta della madre giudicata immorale, vista come tradimento della memoria del padre. Dopo la riconciliazione, in nome di una condotta non-egoistica, la madre confesserà e la storia può concludersi con una di quelle indimenticabili scene di Ozu, in cui la madre, ormai conciliata con l’inconciliabile, contempla il suo futuro di solitudine in un atteggiamento di composta malinconia. Non è passiva rassegnazione, ma l’assunzione dignitosa di responsabilità di fronte all’ineluttabilità degli eventi che rispondono a una Legge che trascende la volontà e i sentimenti degli uomini (per questo si parla di “trascendente” nel cinema di Ozu).
Gli innumerevoli aspetti formali (ancora i treni, l’effetto cornice — inquadratura fissa che sottolinea l’immutabilità dell’impermanenza! — i particolari di oggetti e situazioni “ordinari”) e narrativi (gli ambienti modesti e tutti uguali, la divisione dei luoghi dove trovano espressione gli affetti, la casa; le confidenze e i ricordi tra amici, i bar; le attività sociali, luoghi di lavoro), gli “accenni” a una natura “accogliente” che fa da sfondo tranquillo alla malinconia dei distacchi e delle perdite, sono gli usuali “ingredienti” usati da Ozu per offrirci questi capovolavori di consapevolezza, in cui la ripetizione conduce al di là delle vicende per offrire uno sguardo “altro” sulla condizione umana.

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