Se vogliamo indagare su alcuni dei nostri comportamenti fondamentali (alimentazione, riproduzione, movimento...) ci accorgiamo che non basta constatare che si tratta di eventi biologici, motivati da pulsioni innate (o, come si diceva in passato, dagli istinti), ma occorre individuarne le motivazioni consapevoli, quelle inconscie da decifrare portandole alla coscienza e le rappresentazioni sociali che dalla natura ci conducono alla cultura. Così, uscendo dall’ovvietà deterministica e istintuale, anche sulla base delle nuove possibilità di scelta che la civiltà tecnologica ha messo a disposizione, possiamo “osare” delle domande su qualcuno degli atti più importanti della vita, dalle conseguenze durevoli e imprevedibili, come i comportamenti riproduttivi e chiedere: “Perché si fanno figli?” È quanto ha “osato” la rivista Philosophie magazine, commissionando un sondaggio (effettuato su un campione della popolazione francese nel gennaio scorso) alla TNS Sofres. Dalle risposte delle persone interrogate, che potevano scegliere anche più di un motivo privilegiato, sono emerse tre direttive fondamentali: il piacere, il dovere, l’amore. Ossia, si fanno figli per rendere la vita più bella e gioiosa 60%, per permettere al figlio di realizzare ciò che non si è potuto fare nella propria vita; per dare continuità alla famiglia, per trasmettere valori e la propria storia 47%, fare dono della vita a qualcuno 26%, divenire adulti e assumersi responsabilità 22%, per motivi religiosi 3%; per dare intensità alla vita di coppia 22%.
Due considerazioni: la prima è che oggi ci si trova di fronte al “figlio del desiderio” (la riproduzione non è più una fatalità e per questo se ne possono indagare le motivazioni); la seconda è il diffuso sentire la genitorialità come condizione della realizzazione personale e quindi necessaria per diventare adulti (il figlio come protezione dall’infantilismo!), per cui si rivendica il diritto alla riproduzione (che si esprime anche nell’aiuto attraverso la riproduzione assistita, nel riconoscimento dell’omoparentalità, etc.). Questi motivi posso essere, a loro volta, espressioni di narcisismo o, viceversa, del desiderio di divenire responsabili nei confronti di un altro (Levinas!). Non mancano, all’opposto, i comportamenti di rifiuto (ideologia del “No Kid”) sempre in nome della propria autorealizzazione: liberazione della donna, vita di coppia più piena, libertà personale con minori vincoli.
Tra i tanti commenti, mi colpisce quello di Ėlisabeth Badinter, filosofa femminista, che, tra l’altro, dice di non finire mai di sorprendersi di fronte all’illusione che chiama fantasma educativo. Questo spinge a credere che non faremo gli errori dei nostri predecessori, che alleveremo figli felici, intelligenti e realizzati, occultando irrazionalmente tutti i conflitti, le sofferenze, le frustrazioni legate alla relazione genitori-figli. Personalmente, resto sorpreso di questa sorpresa, da cui traspare una delle tante amnesie “laicistiche”: chi ha un po’ di dimestichezza con la fenomenologia del sacro non può non vedere, nel desiderio riproduttivo, quella esigenza “archetipica” di rinnovamento periodico del mondo, che consiste in una ripresa del corso della realtà, in un reinizio della creazione che non ripara la vita usurata dal tempo, ma riporta tutto all’origine, ripetendo la creazione del mondo e riattualizzando lo stato delle forze cosmiche di “allora”, quando esse erano attive e integre. Questa spinta a esprimere l’archetipo del ri-torno ri-generante è, a mio avviso, la più potente, misteriosa, inconscia e transpersonale delle motivazioni riproduttive: la cosmizzazione dell’esistenza (assimilata ai cicli naturali) rende liturgia la sessualità, con i genitori sacerdoti della Vita e il bambino forza simbolica della trasformazione della generazione in ri-generazione del Mondo. A questo punto diviene quanto mai interessante la comprensione delle motivazioni di chi non desidera avere figli e le modalità di espressione (se non vogliamo dare per scontato che viviamo in un universo desacralizzato e impoverito) che possono venire ad avere alcune fondamentali strutture archetipiche.
2 commenti:
si compra un gatto, il che dimostra l'inesistenza delle 'figure archetipiche" nella riproduzione ma il semplice riproporsi di schemi comportamentali innati nella specie.
Se chi ha scritto questo commento è soddisfatto della sua opinione non ho altro da aggiungere.
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