mercoledì 21 gennaio 2015

Sottomissione

Con una inimmaginabile “puntualità” Sottomissione usciva in sincronia con l’orrendo attacco alla redazione di Charlie Hebdo. Michel Houellebecq, lo scrittore francese più discusso, inquietante e interessante del momento, non poteva certo immaginare che il suo romanzo, che direi appartenere al genere (se esistesse) del “realismo profetico”, uscisse proprio il 7 gennaio, in cui, tra l’altro, trovava la morte nella strage anche il suo amico economista Bernard Maris, cosa che lo ha lasciato sconvolto e (ancor più) depresso. Cassandra è sempre tra noi!
Uno scrittore può cogliere le tensioni, i movimenti, le paure della società in cui vive, che spesso non appaiono alla superficie sulla quale si agitano politici e gazzettieri insignificanti perché, più di analisti patentati, è capace di scendere in profondità attraverso quei sottili crepacci che individui, gruppi e istituzioni lasciano aperti alla sua penetrante intuizione. Houellebecq lo fa, in questo romanzo, seguendo la vicenda, che vuole essere paradigmatica e illuminante sullo stato del Paese, di François, un professore di letteratura alla Università di Paris III (Sorbonne Nouvelle). Studioso di Joris-Karl Huysman (1848-1907), autore di À rebours [A ritroso/Controcorrente], il romanzo che negli anni di università chiamavamo la “bibbia del decadentismo”, gli viene affidata la cura della pubblicazione delle sue opere nella prestigiosa collana della Pléiade-Gallimard (dove effettivamente questo autore è ancora assente: forse, dopo Sottomissione, l’editore provvederà presto a colmare questa inspiegabile lacuna) e che ci viene fatto conoscere nella sua solitudine di intellettuale con pochi soldi, nei suoi nomadismi erotici, nei suoi scoraggiamenti, nella finale conversione a un islam soft e moderato, quello che nel 2022, secondo la visione di  Houellebecq, porterà in Francia alla elezione del primo presidente della Repubblica musulmano. Il Paese è bloccato, anemico, disorientato e l’insipienza dei partiti tradizionali in lotta tra di loro, i conflitti sociali, la massa ormai imponente di una popolazione musulmana, favoriscono l’ascesa di un partito capace di riformare lo stile di vita, instaurare un nuovo ordine sociale, dare un futuro: non si tratta dell’islam dei rozzi tagliagole, ma di un “islam alla francese”, contagiato da una patina di elegante decadentismo e sostenuto dai vantaggi dei petrodollari che promettono una nuova abbondanza, almeno per taluni ceti: è la sconfitta dell’individualismo postmoderno, libertario e consumistico che non sa più dove andare.
A cosa aspira François, ora che comincia a notare segni di invecchiamento, è sempre meno motivato nel suo insegnamento, manifesta un certa stanchezza per il sesso randagio a cui si era abituato e per gli improbabili cibi precotti da passare nel microonde? François è in cerca di senso, cioè di religione (un bisogno che i media occidentali spesso ignorano o fanno mostra di non vedere) e, sulle orme di Huysman si reca nei luoghi dove questo aveva trovato la fede, ma non riesce ad aderire al cristianesimo, la cui teatralità liturgica e architettonica esercita ancora un certo fascino su di lui. Sembra più credibile una conversione all’islam e lo stesso Autore, che anni fa aveva detto essere questa la religione più stupida del mondo, ora, dopo una riflessione più attenta, la giudica più capace di «purificare il mondo liberandolo dalla deleteria dottrina dell’incarnazione» (e di tutte le sue conseguenze). Socialmente poi, per ristabilire un legame tra le persone, «l’unica soluzione è passare per un piano superiore, contenente un singolo punto chiamato Dio, al quale gli individui verrebbero collegati tra loro per mezzo di questo intermediario», con legami di sottomissione (islam è, nel nome stesso, “sottomissione”), dell’uomo a Dio, della donna all’uomo col ritorno al patriarcato, dell’individuo alla comunità...: «è la sottomissione, disse piano [il prof.] Rediger, l’idea sconvolgente e semplice, mai espressa con tanta forza prima di allora, che il culmine della felicità umana consista nella sottomissione più assoluta». François è sedotto da questa prospettiva di “liberazione dalla libertà” che il suo collega Rediger, convertito e ormai rettore dell’Università islamica della Sorbonne Nouvelle, gli prospetta. D’altra parte, il coté di viltà e stanchezza di François viene attratto dall’alto stipendio e dalla promessa di giovani mogli, come, nel Paese, il consenso poteva giovarsi di un “ritorno all’ordine”, col drastico calo della delinquenza, la riduzione della disoccupazione dovuta all’uscita delle donne dal mercato del lavoro, il rafforzamento della famiglia, mentre scomparivano le minigonne e si diffondevano i cibi halal.
Né islamofobo né islamofilo, il romanzo si legge d’un fiato, non sempre perfetto nel suo stile, costretto a presentare in forma di conversazioni certe digressioni politiche o letterarie. Certo, la prospettiva di vedere scomparire, sia pure senza versare troppo sangue, la libertà di pensiero, di espressione, di risata nella patria di Voltaire e nell’Europa, lascia molta amarezza, accompagnata dalla spaventevole prospettiva della riedificazione di una sorta di Impero ottomano. E poi, non possiamo non chiederci, l’umanità tenterà di ricostruire, in un altro ciclo dell’eterno ritorno, i diritti dell’individuo, delle sue libertà e delle sue debolezze...?
Qualcuno (A. Baricco) ha rimproverato un «riferimento ossessivo alla Francia come se il resto del pianeta non esistesse», ma i recenti avvenimenti hanno mostrato che Parigi è ancora una volta il cuore, ferito e ribelle, del mondo occidentale. Quel che Houellebecq non poteva prevedere è stata la reazione forte e dignitosa della Francia repubblicana e laica, e del mondo libero.

Infine, personalmente, ringrazio l’autore anche per il suo condurci quasi per mano per le strade del V arrondissement e per le escursioni (altra occasione di rimprovero che gli è stato mosso) nella letteratura e nella storia francese.

2 commenti:

mari ha detto...

Mi ha colpito molto che, nella spartizione dei ministeri, il partito musulmano punti ad accaparrarsi quello dell'educazione. E' da lì - dalla scuola - che parte lo sviluppo della cultura (libera); ed è lì che questo sviluppo può anche essere fermato.

Riccardo ha detto...

Certamente. Anche per quanto riguarda il nostro Paese sarebbe molto interessante riesaminare la storia della gestione politica del Ministero dell'istruzione...