In un intervento del coro, nell’Antigone,
Jean Anouilh (1942) presenta un interessante parallelo tra dramma e tragedia.
Mentre il dramma lascia la strada aperta agli eventi, agli imprevisti, ai rovesciamenti
delle situazioni, la tragedia è pulita, riposante, sicura, perché tutto si
svolge per una necessità assoluta e ineluttabile e Anouilh fa dire qui al Coro quella
frase che sarà cara agli esistenzialisti francesi: «C’est reposant, la tragédie, parce qu’on sait
qu’il n’y a plus d’espoir, le sale espoir [Perché si sa che non c’è più speranza, la sporca
speranza]». Antigone, contrapponendo la sua etica a quella di Creonte, ripete
anche lei: «Noi siamo di quelli che pongono gli interrogativi fin in fondo.
Fino a che veramente non resti più la minima possibilità di speranza vivente,
la più piccola possibilità di speranza da strangolare. Noi siamo di quelli che
saltano oltre quando la incontrano, la vostra speranza, la vostra cara
speranza, la vostra sporca speranza». E viene sottolineata la gratuità
dell’azione tragica, che porta solo alla attualizzazione del destino, con
un’azione elitaria,
nobile, aristocratica, nella quale non c’è da gemere, da lamentarsi, ma da
gridare «a piena voce quello che si doveva dire, che non si era mai detto e che
forse non si sapeva ancora. E per niente: per dirlo a sé stessi, per capirsi.
Nel dramma, ci si batte perché si spera di venirne fuori. È ignobile,
utilitaristico. Là è gratuito. È per i re. E non c’è più niente da tentare,
alla fine». Si realizza così un salto di livello, una consapevolezza che tutto
è giocato altrove (in un destino programmato
dagli dèi e agito dagli uomini) per cui «si è tutti innocenti, insomma! Non è perché uno uccide e
l’altro è ucciso. È [solo] una questione di distribuzione [di ruoli]».
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