La fontana della
vergine di Ingmar Bergman (1959): in una Svezia medioevale due pastori e un bambino violentano,
uccidono e rapinano la fanciulla Karin, fiduciosa e indifesa nella sua purezza,
che si stava recando alla chiesa fuori del suo villaggio per portare delle
candele. Bergman ci fa assistere alla progressiva coscienza del male
ineluttabile che si dipinge sul volto della vittima e, successivamente, alla consapevolezza
nei genitori della ragazza del delitto che è stato compiuto. Il padre Töre
opererà la vendetta e griderà a Dio: «Non ti capisco. E come si potrebbe capire
un Dio che vede il male e non lo impedisce?» Ma egli ha, tuttavia, bisogno di riconciliarsi
con le sue mani sporche di sangue, mutando la vendetta in opera di giustizia.
Il Dio che non interviene e non risponde è realtà necessaria per una
triangolazione che renda possibile il passaggio dal male al bene mediante il
rapporto con un vertice transindividuale, qui rappresentato dal dio della
trazione cristiana. Infatti, nel film, realizzato questo passaggio, una fonte comincerà
a zampillare nel luogo della violenza e del male, consentendo a tutti di
purificarsi, segno più che di una risposta di Dio, del cambiamento di coscienza
del protagonista.
Nessun commento:
Posta un commento