Uno dei passi della Recherche in cui Proust mostra al meglio la sua capacità di analisi psicologica è quello in cui Swann, seduttore-di e sedotto-da Odette, appare non persuaso fino in fondo della bellezza di questa: «la necessità in cui versava, per trovare bello il suo viso, di circoscrivere ai soli pomelli freschi e rosei le guance che erano così spesso gialle, languide, cosparse a volte di puntini rossi, lo rattristava come una prova che l’ideale è inaccessibile e la felicità mediocre». Così fino a quando non rimane colpito «dalla sua somiglianza con la figura di Sefora, la figlia di Ietro, che si vede in un affresco della Cappella Sistina», opera di Botticelli. Quella somiglianza gli consentiva di trascendere la realtà particolare, reale, provvisoria della donna Odette, consentendogli di far penetrare la sua immagine «in un mondo di sogni cui prima non aveva avuto accesso e nel quale si impregnò di nobiltà». Il piacere che provava nel guardarla aveva ora una giustificazione nella sua cultura estetica, tanto da rimproverarsi «d’aver misconosciuto i pregi di una creatura che sarebbe parsa adorabile al grande Sandro», per cui «i baci e il possesso, che sembravano naturali e mediocri se concessi da una carne sciupata, gli parve invece che dovessero essere — venendo a coronare l’adorazione di un pezzo da museo — sovrannaturali e deliziosi».
Proust afferma dunque che ciò che più conta nel nostro incontro con la realtà (di persone, cose, situazioni) non risiede nella immediatezza del dato ma nel suo valore simbolico, nella sua capacità di mettere in moto emozioni, ricordi, fantasie, di appagare esigenze “altre” rispetto a quelle che lui chiama «naturali e mediocri», offrendo, in questa analisi, una preziosa e penetrante anticipazione degli studi sul desiderio mimetico.
Chi era Sefora e perché il dipinto di Botticelli poté avevere tanto peso nell’amore di Swann?
Sefora o Zippora (cioè la Radiosa, la Splendente) è un personaggio biblico ricordato nel libro dell’Esodo. Sefora era una delle figlie di Ietro, un sacerdote della tribù di Madian, terra nella quale Mosè, fuggito dall’Egitto per aver commesso un omicidio (uccisione di un egiziano che aveva maltrattato un israelita), si era rifugiato e ove trascorse 40 anni.
Botticelli tra il 1481 e il 1482 aveva realizzato su questo e altri episodi della vita di Mosè un affresco (Prove di Mosè, Cappella sistina). “Responsabile” di una rinnovata attenzione a questo dipinto fu John Ruskin (1818-1900), scrittore, filosofo, pittore e critico d’arte inglese, che considerò Botticelli «il più universale di tutti pittori e il più grande tra tutti gli artisti fiorentini». Tra le opere di Botticelli Ruskin prediligeva le Prove di Mosè e, in paricolare era entusiasta proprio della raffigurazione di Sefora. Proust, a sua volta ammiratore di Ruskin (di cui tradusse alcune opere, come La Bibbia di Amiens e di cui, in occasione della morte, pubblicò un necrologio nel quale scrisse: «On craignait l’autre jour pour la vie de Tolstoi; ce malheur ne s’est pas réalisé; mais le monde n’a pas fait une perte moins grande: Ruskin est mort. Nietzsche est fou, Tolstoi et Ibsen semblent au terme de leur carrière; l’Europe perd l’un après l’autre ses grands “directeurs de coscience”. Directeur de coscience de son temps, certes Ruskin le fut, mais il fut aussi son professeur de goût, son initiateur à cette beauté que Tolstoi réprouve au nom de la morale et dont Ruskin avait tout poétisé, jusqu’à la morale elle-même»), fece suo il culto della Sefora botticelliana e non fu il solo: in quegli anni si ebbe una vera infatuazione per quel dipinto; bisognava averne una riprodizione nella propria stanza e scrittori come Zola e D’Annunzio mostrano nei loro scritti di essere stati anche loro “contagiati” dalla “seforite” (tutti pazzi per Sefora!).
Ruskin pittore (fu il teorico dei movimento detto dei Preraffaelliti) amava copiare i quadri che avevano suscitato la sua ammirazione e dipinse quindi anche la Sefora botticelliana, copia della cui riuscita era particolarmente soddisfatto.
In questi giorni, c’è a Roma l’occasione di potersi “avvicinare” a questa opera di Ruskin nel quadro della mostra Il mito dell’italia nell’Inghilterra vittoriana alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea: affrettarsi!
Nessun commento:
Posta un commento