Da tempo girano nella rete elenchi di domande senza risposta e anche il portale Ask Jeeens, che vorrebbe rispondere a tutto, fa un elenco delle 10 domande che da sempre sembrano senza risposta, invitando gli utenti a cercarle. Tra queste: «qual è il significato della vita?», «Dio esiste?», «le bionde si divertono di più?» e via continuando. E non mancano le domande comico-demenziali come quelle che si possono trovare nel sito http://www.zigolo.net/domande-senza-risposta.html. Ma di recente, a quanto vedo riportato dai giornali, anche una delle più prestigiose accademie scientifiche, la Royal Society, ha elencato, per bocca del suo presidente Martin Rees, le domande a cui la scienza non ha (ancora?) saputo dare risposta. Oltre a quelle di argomento cosmologico ce ne sono alcune che riguardano l’uomo, tra le quali mi ha colpito quella che chiede: «Cosa è la coscienza?». Mi ha colpito perché, posta così, rivela una sorta di ingenuità metodologica relativa al modo e al significato del definire. La psicologia, scienza della psiche, si era autolesionisticamente inferta (espellendo dai suoi concetti proprio quello della coscienza) una ferita che oggi si va faticosamente rimarginando, per cui possiamo con piacere salutare il giusto ritorno a ciò che le è più proprio (pur con tutti gli interrogativi connessi), la mente e la coscienza. Scrive Julian Jaynes, uno degli psicologi dell’attuale riscoperta della coscienza: «Mondo di visioni non vedute e di silenzi uditi è questa regione inconsistente della mente! E ineffabili essenze questi ricordi impalpabili, queste fantasticherie che nessuno può mostrare! E quanto privati, quanto intimi! Un teatro segreto fatto di monologhi senza parole e di consigli prevenienti, dimora invisibile di tutti gli umori, le meditazioni e misteri, luogo infinito di delusioni e di scoperte. Un intero regno su cui ciascuno di noi regna solitario e recluso, contestando ciò che vuole, comandando ciò che può. Eremo occulto dove possiamo studiare fino in fondo il libro tormentato di ciò che abbiamo fatto e ancora possiamo fare. Un introcosmo che è più me di ciò che io posso trovare in uno specchio. Questa coscienza, che è il mio me stesso più segreto, che è ogni cosa eppure non è nulla di nulla, che cos’è? E da dove venne? E perché?»
Parlando di coscienza credo sia necessario, prima di tutto, fare alcune indispensabili considerazioni. Va precisato che ci vuole riferire qui alla coscienza nella sua accezione più generale di esperienza cosciente, a partire dal suo “grado zero” («qualcosa sta accadendo», «avverto piacere o dolore»), di vita interiore o di vissuto, al di fuori, pertanto, dei campi semantici della cura e della moralità, e delle relative coppie polari di diligenza/negligenza, responsabilità/disimpegno, etc. Ma chi pensasse di poter trovare nei manuali o nei dizionari una definizione di questo concetto, rimarrà inevitabilmente deluso: di lemma in lemma, si imbatterebbe infatti in una serie di rimandi e in un gioco di sinonimie che non farebbe giungere a nessuna vera definizione. Consultando, ad es., il Webster’s (Third New International Dictionary of the English Language), troveremo che consciousness, come coscienza nel senso di funzione psichica generale e sinonimo di mente, ci conduce a: awareness = comprensione, coscienza di q.c., prontezza, rendersi conto, esser desto, esser pronto; mindfulness = consapevolezza, presenza mentale; alertness = attivazione, allarme; vigilance = vigilanza, e via continuando. Più nettamente, il Lalande (Vocabulaire technique et critique de la Philosophie), rilevato che la coscienza è uno dei dati fondamentali dell’attività mentale, e, come tale, non è scomponibile in elementi più semplici, riporta le seguenti parole di Hamilton: «La coscienza non può essere definita: noi possiamo sapere perfettamente ciò che è la coscienza, ma non possiamo comunicare agli altri senza confusione una definizione di ciò che noi stessi afferriamo chiaramente. La ragione è semplice: la coscienza si trova alla radice di ogni conoscenza». Tuttavia, questa difficoltà di definizione non è scandalosa né testimonia una congenita debolezza della psicologia allorquando venga confrontata con altre discipline. Tutte, infatti, hanno dei presupposti, assunti come punti di partenza per la definizione di altri concetti o proprietà (detti, in quanto misurabili, “grandezze”) dei fenomeni che si studiano. Così la fisica assume ciò che è dato dall’esperienza immediata, relativamente a lunghezza, massa, tempo e carica elettrica, assumendo queste come “grandezze fondamentali”, impiegandole poi per definire le altre grandezze, che vengono dette appunto “grandezze derivate” (ad es., la velocità, rapporto tra lunghezza e tempo). Il fatto che le grandezze fondamentali non siano definite, ma vengano “prelevate” dall’esperienza cosciente (e quindi siano fondate su un dato psicologico!) non significa che non possano essere studiate e misurate, come la fisica ben insegna.
Non definibile, la coscienza — fondamento non solo della psicologia, ma dell’intera costruzione scientifica — potrà pertanto essere oggetto di indagini, oltre che da parte della psicologia, anche dalla psicopatologia, dalla neurologia, dell’antropologia, etc., interessate a comprenderne estensione, oscillazioni, qualità, correlati, etc. Dunque, la coscienza è la nostra stessa esperienza, quella senza la quale non ci sarebbe nessun mondo e nessuna domanda, e, come accade anche in altri casi, la domanda su di essa non è una domanda senza risposta, ma una domanda mal posta.
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