
Ganesh o Ganesha, la divinità induista dalla testa di elefante, ben noto in tutto il mondo, è una figura carica di simboli e significati. Figlio di Shiva e Parvati (etim. “Signore dei gana” o “di tutti gli esseri”, detto anche “Signore/Distruttore degli ostacoli” o “donatore di successo”), benché i devoti ne sostengano radici vediche, la sua origine storica sembra piuttosto tardiva (V sec. della nostra era; su questo v. in Encyclopedia of Religion, s. v. e in Wikipedia, s v.). “Convocarlo” qui ha il fine di riferirsi al suo aspetto archetipico, al di là dell’appartenenza al mondo induista. Tra gli attributi di cui è dotato e gli oggetti che ha vicino, presenti nelle raffigurazioni (testa di elefante con larghe orecchie e quattro braccia, proboscide, ventre obeso, fiore di loto...), soffermiamoci sulla sua cavalcatura e sull’ascia che tiene delle mani. Il grosso elefante (forza, intelligenza discriminativa, volontà) ha come cavalcatura un topolino (la mente mobile e vorace); cavalcandolo, Ganesh lo domina e il topo, che ha accanto piatti ricolmi di dolci e un boccone già tra le zampine, non osa mangiarlo sotto lo sguardo della divinità: l’ascia minacciosa di Ganesh ricorda che i desideri, apportatori di attaccamento e sofferenza, vanno tagliati senza esitazioni. L’insegnamento che esorta a distaccarsi dal desiderio e dal mondo terreno contaminato attraversa le religioni misteriche, la saggezza socratico-platonica e quella stoica, il neoplatonismo e i rigorismi cristiani, la dottrina buddhista della “scuola antica” (“Abbattete la foresta [del desiderio], non un albero soltanto! Dalla foresta [del desiderio] sorge la paura. Quando avrete tagliato sia la foresta sia il sottobosco, conservatevi disboscati, o monaci”, Dhammapada, 283; “finché non sia stato reciso anche il minimo desiderio dell’uomo verso la donna, la sua mente sarà dipendente [dalla passione] come il vitello alla madre”, ivi, 284), etc. Il “Nuovo testamento” mahayana (“Il samsara è in nulla differente dal Nirvana. Il Nirvana è in nulla differente dal samsara. I confini del Nirvana sono i confini del samsara. Tra i due non c’è la minima differenza”, Nagarjuna) guida, invece, il bodhisattva a vivere nel mondo come il fiore di loto, immacolato benché con le radici nel fango. Se guardiamo a Ganesh nel suo valore simbolico, sintesi di tutti gli insegnamenti dualistici che separano mondo terreno e mondo celeste, anima e corpo, purezza e carne, Nirvana e samsara, la nuova “parola d’ordine” può diventare: “Dimenticare Ganesh!”