Quando pensiamo a vecchi amici che non sentiamo più da tempo, quando ricompare l’immagine ormai sbiadita di qualche amore lontano, quando torna il ricordo di persone che pur hanno avuto un certo peso nella nostra vita e delle quali non sappiamo più nulla, il primo impulso è di ricercarli, riannodare fili, raccontare... Ma poi sorge il dubbio sulla opportunità di lacerare il velo dell’oblio e sul voler rianimare quel che la memoria ha consegnato a un passato che diviene remoto perché senza ritorni. Che significato possono avere per me, oggi, quelli/e che avevano tanta importanza un tempo? Non è crudele esporre all’insignificanza di ora il valore di allora?
Scrive Stendhal (Vita di Henry Brulard) in argomento: «Vedo con chiarezza la verità sulla maggior parte di queste cose solo scrivendole nel 1835, tanto esse sono state avvolte finora nell’aureola della giovinezza, prodotta dall’estrema vivacità delle sensazioni. [E riguardo agli amici di gioventù] mi accorgo che quelle che prendevo per alte montagne nel 1800, non erano per la maggior parte che monticelli di talpe». Dunque lasciamo lì, pur con tutta la sofferenza che comporta, il ricordo di “come eravamo” e di “come erano”, senza esporre il profumo del passato al rischio di evaporare nel presente.
Il film di Louis Malle, Fatale [in it. Il danno], si chiude sul protagonista che, rivedendo per caso, dopo molto tempo, la ragazza “strumento del destino”, che aveva stravolto la vita sua e del figlio, osserva ormai disincantato: «Era una persona normale...». Nell’Éducation sentimentale, Flaubert analizza con crudele lucidità il vissuto di Fréderic nell’incontro finale con la signora Arnoux: «Gli venne il sospetto che la signora Arnoux fosse venuta per offrirsi; e si sentì invadere nuovamente da un desiderio più forte che mai, un desiderio impetuoso, scatenato. Al tempo stesso avvertiva qualcosa di inesprimibile, una repulsione, quasi il terrore di un incesto. A trattenerlo però fu un altro timore, quello di provarne, in seguito, disgusto. E poi in che situazione imbarazzante si sarebbe trovato! Così, un po’ per prudenza, un po’ per non degradare il proprio ideale, le voltò le spalle e si mise ad arrotolarsi una sigaretta. […] Né l’uno né l’altra trovavano più niente da dirsi. C’è un momento, nelle separazioni, in cui la persona amata non è già più con noi».
Terrore di incesto col passato, protezione della memoria, gentilezza amorevole verso chi ha incrociato il nostro percorso aprendoci prospettive, consentito sogni, costruito ideali per noi: evitiamo la cupidigia, abbandoniamo l'idea di avere tutto ancora qui, lasciamo andare chi si è allontanato, ricordiamo che ci sono fili che, anche se sono diventati sottili, non hanno perso la loro funzione e il loro potere.
3 commenti:
Incesto con il passato... o incesto con il presente? Ho avuto esatte esperienze di quello che lei scrive. Delusione nel rivedere chi si amava e si idolatrava. Vedere che quello che era apparso come il genio dell'adolescente che vedevo da adolescente è diventata una sopita ragazza che pensa che dice frasi del tipo "così non si fanno i soldi". Ed ho provato rigetto per chi ha perso un certo genio dell'adolescenza. Ed ho anche provato rabbia contro di me per aver visto qualcosa "male", qualcosa- che forse ho inventato allora. Forse vedevo le cose ingigantite dalla mia percezione adolescente: quelle che erano colline e chi apparivano come montagne. Mi sembra di capire quello che lei scrive e di averne esperienza.
Ma poi penso: la mia percezione di allora era errata e la mia di oggi giusta? E se oggi vedo quella che vedevo come una montagna diventata una collinetta (magari di rifiuti?) forse domani le montagne di oggi mi appariranno come altre colline? In altri temini, non sto riproducendo lo stesso errore, solo più tardi?
Leggendola oggi mi viene un'altra idea. E se rivedere le montagne dell'adolescenza con gli occhi di oggi me le fa apparire come colline forse devo avere compassione per me e la mia percezione troppo centrata su di me. La risposta che vorrei dare non è di rivederle come montagne, ma forse devo vederle come colline, ma colline da amare come colline. Colline che mi hanno forgiato lo sguardo che me le fa apparire come colline oggi. Accoglierle come quelle cose senza le quali non sarei ciò che sono. Non perché io sia contento di ciò che sono ora, ma per essere contento di come si può vivere insieme. In un panorama colline e montagne in fondo contribuiscono alla bellezza del panorama. Ho voglia di rivedere chi ho perso non per misurare quanto sia cresciuto, non per evitare un incesto, ma non voglio evitare di rivederle per evitare l'incesto con me stesso. Con ciò che credo di essere diventato, magari sbagliandomi di nuovo.
La sola risposta che vorrei dare in fondo è l'amore, senza attaccamento né all'idolatria del passato, ma nemmeno a quella del presente
la mia riflessione è su ciò che avvertiamo lontano, interrotto, sbiadito: se c'è amore niente è perduto: l'amore non distanzia, non cancella, non smarrisce, né nel passato né nel presente. Ma quel che è stato magico credo non vada confrontato con nulla, per non rendere colline le montagne o viceversa. Con che cosa dovremmo confrontare il mondo incantato dell'infanzia o del mito? Il presente non è una pietra di paragone, ma è altro, con altri, e propri, errori, amori e terrori...
Mi capita spesso nei sogni di rivederle; a volte camminando per strada le riconosco nello sguardo o nella sagoma di un perfetto estraneo. Sono le persone che ho amato e perduto. A differenza di Armando, non sento il bisogno di ricercarle (mi chiedo solo a volte, con un misto di curiosità e terrore: chissà se la vita me le riporterà) e non posso in alcun modo dimenticarle: esse sono ancora con me, sono parte di me, l'unica parte che posso dire di conoscere. Certo non di rado fanno male (maledetta nostalgia, maledetta insoddisfazione, maledetto presente), ma mi piace pensare che la medicina migliore non sia una telefonata, bensì un bel giretto in bicicletta.
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