“i miti non hanno vita per sé stessi. Attendono che noi li incarniamo”, diceva Camus; anche il mito letterario di Don Giovanni non si sottrae a questa legge e viene periodicamente rivisitato e reinterpretato. Carlos Saura, col film Io, Don Giovanni, per riproporci una sua lettura del mito usa parte della biografica di Lorenzo Da Ponte, autore del libretto del Don Giovanni mozartiano. Nel film, la scrittura del libretto e la composizione della musica sembrano procedere grazie una progresiva identificazione dei due autori con il personaggio: Da Ponte per la sua condotta libertina, Mozat per il suo rapporto di odio-amore verso il padre. Optando per un finale che vede il “dissoluto punito” precipitare nell’Inferno con adeguato corteo di diavoli, i due sembrano poter prendere la distanze dal personaggio e, soddisfatti e avvisati, essere pronti per un cammino di “redenzione”, mentre il coro finale canta “Resti dunque quel birbon con Proserpina e Pluton”. Prendendo alla lettera che si tratti di un “dramma giocoso” (dimenticando l’arte della dissimulazione al fine di veicolare un messaggio di trasgressione) l’insieme è un po’ fragile, ma non sgradevole, da sceneggiato TV. Ma non è questo che qui interessa: quel che interessa è ripensare il mito, magari (ancora simulando?) porre, riporre o riproporre il quesito su cosa sia accaduto a Don Giovanni, una volta sprofondato nell’Inferno: da come risponderemo a questa domanda potremo, infatti, definire la nostra riattualizzazione del mito. In altri termini, in quale sito lo avrebbe collocato Dante se avesse potuto includerlo nella Commedia? Il duo Mozart-Da Ponte del film elude la domanda e confonde le acque col suo finale “perbenista”. E allora andiamo a vedere come ha risposto Delacroix con il quadro di cui Baudelaire ha fatto una sorta di illustrazione-commento nella poesia Don Giovanni all’Inferno. Delacroix e Baudelaire collocano sì all’Inferno Don Giovanni e lo rappresentano sulla barca di Caronte, accompagnato dalle sue “vittime”, che ha trascinato con sé, meschine e banali (quelle sì imperdonabili e senza redenzione!), mentre egli è chiuso nella sua fierezza di martire della libertà, prometeica incarnazione della rivolta assoluta del ricercatore della bellezza, trasgressore consapevole dei comandamenti del cielo per poter affermare i valori della Terra.
Qui, per chi non avesse altri riferimenti, il quadro di Delacroix (La barca di Don Giovanni) e il testo di Baudelaire, seguito da una traduzione italiana (quella fatta dall’amico scomparso Luigi De Nardis, che fu professore di Letteratura francese e Preside della Facoltà di Lettere dell’Università “La Sapienza”)
Don Juan aux Enfers
Quand Don Juan descendit vers l'onde souterraine/
Et quand il eut donné son obole à Charon,/
Un sombre mendiant, l'oeil fier comme Antisthène,/
D'un bras vengeur et fort saisit chaque aviron.
Montrant leurs seins pendants et leurs robes ouvertes,/
Des femmes se tordaient sous le noir firmament,/
Et, comme un grand troupeau de victimes offertes,/
Derrière lui traînaient un long mugissement./ Sganarelle en riant lui réclamait ses gages,/
Tandis que Don Luis avec un doigt tremblant/
Montrait à tous les morts errant sur les rivages/
Le fils audacieux qui railla son front blanc./
Frissonnant sous son deuil, la chaste et maigre Elvire,/
Près de l’époux perfide et qui fut son amant,/
Semblait lui réclamer un suprême sourire/
Où brillât la douceur de son premier serment.
Tout droit dans son armure, un grand homme de pierre/
Se tenait à la barre et coupait le flot noir;/
Mais le calme héros, courbé sur sa rapière,/
Regardait le sillage et ne daignait rien voir.
Quando giù all’onda sotterranea scese Don Giovanni e a Caronte ebbe pagato L’obolo, un triste mendicante, l’occhio Come Antìstene fiero, afferrò i remi con braccio fermo, da vendicatore.
Come d’offerte vittime una grande greggia, coi seni penduli e le vesti dischiuse, sotto il nero firmamento donne si contorcevano traendo dietro lui un muggito prolungato.
Ridendo gli chiedeva Sganarello la paga e Don Luigi, con il dito tremante, ai morti erranti sulle rive indicava quel figlio tanto audace che rise della sua candida fronte.
Rabbrividendo sotto le gramaglie, la casta e magra Elvira, accanto al perfido sposo che fu suo amante, domandargli sembrava quasi un supremo sorriso in cui brillasse tutta la dolcezza del primo giuramento.
Dritto e fermo nell’armi, divideva il nero flutto alto un uomo di pietra sorreggendo la barra del timone. Ma l’eroe calmo guardava, chino sulla spada, la spuma e disdegnava altro vedere.
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