Nel n. 30 di Dharma (ott. 2008) è stato pubblicato, col titolo Non nascita, non morte, il testo di un discorso del noto Maestro Thich Nhat Hanh. Come facilmente si comprende, il discorso si riferisce al tema della morte ed è svolto con un intento consolatorio (al pari di quanto fatto in analoghi scritti, quali, ad es., il vol. Il n’y a ni mort ni peur, Parigi, La Table Ronde, 2003, dello stesso autore). Diretti all’“uomo moderno” questi insegnamenti suscitano, in realtà, molti interrogativi sul tipo di didattica impiegata (con argomentazioni, metafore, cambiamenti di piano...) e sul confine tra i cosiddetti “mezzi abili”, la divulgazione e la manipolazione.
Accenno soltanto a qualche aspetto. Il Maestro entra subito con molta semplicità (o spregiudicatezza?) in una problematica molto controversa, come quella del divenire, del possibile e del necessario, che ha una storia millenaria e che viene, invece, data per risolta usando la magica parola “manifestazione”. Quando accendiamo un fiammifero non siamo noi che accendiamo la fiamma, egli dice, ma piuttosto la aiutiamo a manifestarsi. Ci sarebbe da domandarsi anche qualcosa sul manifestarsi della nostra mano che accende il fiammifero (e via all’infinito!), ma la tesi è che la fiamma si manifesta o non si manifesta; prima che apparisse non si può dire che non esistesse e dopo la scomparsa non si può dire che non esista più. Tutto è, dunque, già lì (dove?) in una sorta di presepio con tutte le figurine, che attendono solo che si accenda la luce per comparire. Poi, se tutto è preformato e predeterminato, che ne è di libertà e responabilità? Maestro, che ne facciamo degli Eleati, di Diodoro Crono, di Aristotele e di Leibniz... che tanto si sono affaticati per distinguere tra potenza e atto? Legittimo lasciarli da parte, ma non usiamo allora certi argomenti per convincerci che siamo immortali, nientemeno al pari di Gesù Cristo (i cattolici tremino per queste incursioni nella teologia dell’incarnazione!), tutti, come Lui, dotati della natura di non nascita e non morte (su questa identità con Cristo potremmo, tuttavia, scomodare Avicenna per distinguere tra l’essere necessario e l’essere possibile, tra ciò che deriva il suo essere da sé — Dio — e ciò che lo deriva da altro — le cose).
Passiamo oltre, perché tutto dovrebbe servire a consolarci delle perdite, che perdite non sarebbero poiché nulla si perde, ma tutto si trasforma (e qui si passa da Parmenide ad Eraclito!), come diceva, viene ricordato, anche Lavoisier: ma, per favore, non scherziamo con la termodinamica, che si riferisce all’energia e non alla persistenza degli oggetti. Perché qui si presenta un’altra trappola nella quale vorremmo evitare si “manifestasse” un “aiuto” a farci cadere: quella che viene dall’ignorare o confondere i diversi livelli di descrizione della realtà. Un foglio di carta brucia; si annulla? «No, questo non è niente, si è trasformato in qualcosa di diverso, prima in fumo che è salito in cielo e ha raggiunto una nuvoletta […], ma si è anche traformato in calore», etc. Di fronte alla tragicità dell’esistenza si afferma, dunque, che tutto è a posto e niente è perduto. Ma quel foglio era tante cose diverse! Innanzitutto, il testo o il disegno che poteva contenere, poi la sua struttura chimica e le proprietà fisiche, per cui quando si parla di “vera natura” a cosa ci ci si vuole riferire? Alle proprietà più “basse”, trascurando quelle più “elevate”? Ecco che il riduzionismo spunta anche dove meno uno se lo aspetterebbe! Benché gli atomi di carbonio o di idrogeno, etc. si trasferiscano da qualche altra parte quando il foglio brucia, ciò che va perso sono le dimensioni estetiche o funzionali, proprio quelle che più ci stavano a cuore. Così per le nostre vite: di fronte alla prospettiva della perdita della personalità e della coscienza, non proverei nessuna consolazione se qualcuno mi dicesse che l’acqua, il carbonio e l’azoto del mio corpo, dopo la morte, contribuiranno alla nascita (pardon: alla manifestazione!) di una bella signora olandese! Anzi, avvertirei una profonda mancanza di comprensione e di compassione in chi mi facesse un simile discorso!
Infine, non dobbiamo “identificarci”: «Questi occhi non sono me […], questo corpo non sono io […]»: certo, sono un’altra cosa, una cosa che è più di queste altre... Mai sentito parlare del principio di emergenza, introdotto all’inizio del secolo scorso, per cui affermiamo che un insieme ha proprietà che non possono ricondursi a quelle delle parti? Un organismo ha proprietà che non sono la somma delle proprietà delle cellule, queste hanno proprietà che non sono quelle delle molecole componenti e via di seguito: proprio perché non identifichiamo il tutto con le parti, non siamo contenti o indifferenti se crolla una cattedrale o brucia un dipinto, e piangiamo quando qualcuno muore.
Ormai ci sono molti studi su “maghi” e illusionisti che sanno ben usare i limiti di funzionamento del nostro sistema nervoso e delle nostre capacità di processare le informazioni. Spostare l’attenzione parlando d’altro può essere uno dei più semplici ed efficaci strumenti di manipolazione. Dunque, riflettiamo: sono questi gli insegnamenti che ci meritiamo? Nel Kalama sutta è il Buddha stesso a suggerirci una costante vigilanza.
4 commenti:
Salve ,il buon Stalker aveva riportato il suo post sul Newsgroup cultura.buddhismo.it e io avevo fatto un piccolo commento ,di seguito sono stato invitato dal medesimo a ricopiarlo qui ,sperando di non disturbare ,lo faccio e La saluto cordialmente:
Rispondo qui perche' non conosco il prof . Venturini e non vorrei invadere il suo blog, e poi il suo Pensare e' su un altro pianeta rispetto a me ,piccola fiammiferaia del Dharma !
Mi viene da pensare che , se ci vengono dati questi insegnamenti ,secondo
il principio della retribuzione karmica ,sono gli insegnamenti che ci
meritiamo ...scherzo !
Pero' il dicorso di TNH e' il discorso di chiusura di un suo ritiro dato
alla presenza dei bambini ( vedi appunto Dharma )e non uno scritto
accademico ,avendo io partecipato ad alcuni suoi ritiri ( ma non
appartengo alla sua scuola ),posso dire che i discorsi per i bambini hanno
un profilo per cosi' dire "infantile" ,insomma secondo me le critiche ci
stanno in generale ma si poteva scegliere un altro discorso .
Sul fatto dell' "uomo moderno" : ma il prof. Venturini pensa che l'uomo
moderno medio sia come lui ,plurilaureato ,accademico ,brillante e erudito?
A me sembra che il profilo piu' rispondente sia quello del barbaro
schizzato con il cellulare sempre in funzione ...mi pare dunque che gli
"Hoben" adeguati non possano essere cosi' "elevati" e che la
"manipolazione " effettuata da TNH non sia altro che un tentativo di
spostamento della consapevolezza da quella che e' considerata la visione
"normale" occidentale moderna ,un po' piu' la' ,un po' oltre ...
Sui motivi della manipolazione poi ci sarebbe da investigare ,sarebbe
importante capire i motivi per giudicare ,perche' appunto il concetto
stesso di abili mezzi rimanda all' inganno compiuto dal Buddha nella
famosa parabola ...ma di seguito il Buddha ( o chi compilo' il Sutra )
dice piu' o meno : non si puo' dire che io abbia mentito ...
Un altro fatto da ricordare e' che nello Zen l' insegnamento diventa vivo
nell' incontro tra maestro e allievo e che TNH ,incontrato di persona
,sembra veramente avere superato la distinzione samsara-nirvana ( come
tutti i grandi guru o i grandi illusionisti ne sono consapevole ) e "rende
vivo e salvifico " un insegnamento che magari formalmente e' carente.
Quindi direi ,Kalama Sutta ...per tutti .ma proprio tutti !
saluti
ito
Caro Prof. Venturini,
nonostante la profonda stima che nutro per THN, condivido le sue critiche allo stile di insegnamento che qualche volta ritrovo (e non solo nei suoi scritti).
Ho l'impressione che troppo spesso si voglia sostituire un pensiero con un altro, nella speranza che sia la "soluzione" - e che facendo questo dimentichiamo la necessità della critica e di integrare la nostra tradizione filosofica, psicologica ed etica con i nuovi punti di vista del Buddhismo.
Secondo me, tuttavia, quello che sopratutto manca è la pratica (e questo vuole essere in primo luogo una auto-esortazione). Quel pochissimo che riesco a capire del Dharma lo devo più alla gioia e alla difficoltà di praticare, che alla speculazione o al tentativo di "farmi un'idea" senza tutti gli altri raggi dell'Ottuplice Sentiero.
GRaziE!
Stefano
Caro Stefano, voglio precisare (anche se lo credo superfluo) che il problema non è TNH, ma un certo modo di presentare il Buddhadharma in Occidente, per cui possiamo andare, tanto per fare esempi, da Ajhan Chah alla Soka Gakkai. Troviamo slittamenti di piani, metonimie, allusioni... Mi soffermerò in futuro su qualcuno di questi esempi.
Infine, la pratica: certo il buddhismo non è concepibile senza una pratica, ma anche su questo andrebbe fatta chiarezza, perché troppo spesso la pratica viene intesa riduttivamente come meditazione formale, recitazione di mantra, etc., mentre dovrebbe investire il modo, lo stile di vita nella sua globalità (pratica integrale e incessante).
Alla prossima! Riccardo Chushin V.
Gentile Zenbaba, grazie del Suo “commento”: nessuna preoccupazione di invasione del blog che è proprio uno spazio di dialogo. Rispondo qui solo su un punto (sono in altra sede e in altri spazi impegnato a dare qualche più ampio contributo per delineare un “veicolo” che potrebbe esser chiamato Euro-yana o Westner-yana). Mi riferisco ai livelli didattici. È fin troppo evidente che gli insegnamenti vanno graduati a seconda delle probabili capacità degli ascoltatori, ma questo discernimento è esso stesso una rara virtù. Esistono le scuole elementari, medie, superiori, etc.; ma spiegare in modo elementare il teorema di Pitagora non significa, ad es., dire ai bambini che esso si riferisce alle proprietà del cerchio invece che del triangolo perché il cerchio è più facile da capire. Quindi le mie osservazioni si riferiscono al parlar d’altro (per così dire, di chimica invece che di psicologia) e alla pericolosa metafora degli uomini “bambini” (dove la sufficienza esita spesso nella manipolazione): i dogmatismi e i totalitarismi ne hanno sempre fatto largo uso e per questo dobbiamo sempre cercare di far più spazio allo spirito critico e alla pratica democratica. Il discorso poi non si riferiva, ovviamente, al solo articolo pubblicato da Dharma (che non è una rivista per bambini!), ma anche ad altri scritti dello stesso TNH (come il citato vol. Il n’y a ni mort ni peur) e, più in generale, a un modo di argomentare molto diffuso nella pedagogia spirituale buddhista (e non solo). Visto che è entrata nel blog mi permetto di rinviarLa a quanto può trovare in data 25 01 09 e in data 19 04 09.
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