Il film di Asghar Farhadi, Una separazione (Orso d’Oro della 61esima edizione del Festival di Berlino), ha molti motivi di interesse: conoscenza di una cinematografia poco nota nel nostro Paese, sguardo su una società “separata”, rapporto costume-religione, ma soprattutto quello della complessità delle relazioni umane. Non solo dei due coniugi Nader and Simin che stanno per separarsi, ma quelli più estesi tra giovani e vecchi, figli e genitori, poveri e benestanti, cittadini e giudici.
Il protagonista Nader viene a trovarsi in una rete di menzogne, confronti, doveri in conflitto tra loro; la moglie aspira a un altrove irraggiungibile, spinta dalle sue paure; la figlia adolescente dovrà scegliere con quale genitore continuare a vivere e quale futuro avere; il vecchio nonno con l’Alzheimer è un testimone muto di quanto accade attorno a lui.
Il film non vuole offrire risposte: sarebbe troppo rassicurante, perché in realtà i confini tra verità e menzogna, sincerità e simulazione, innocenza e colpa sono labili, porosi, attraversati da tutte le nostre incertezze. Asghar Farhadi sembra sapere che le domande fondamentali dell’esistenza non vanno affrontate cercandone la soluzione ma piuttosto la dis-soluzione, sopportando parzialità, compromessi, approssimazioni, con una postura im-parziale come quella suggerita dalla metafora del vecchio nonno: attonita, sospesa, non-giudicante.
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