Dopo tanti silenzi e incertezze di fronte al massacro in Medio Orientedi di cristiani, altre minoranze religiose e oppositori di ogni tipo (su cui v. l'ampio articolo di Carlo Panella, Perché questo Papa è così timido con gli attacchi dell'Islam, http://www.ilfoglio.it/result/?q=panella+10+agoasto&search.x=-844&search.y=-270), il 12 agosto scorso, pur nella indifferenza ferragostana, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha pubblicato un documento che merita di essere conosciuto e meditato, in cui si afferma che l'attuale situazione «esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da
parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, delle persone
impegnate nel dialogo interreligioso e di tutte le persone di buona volontà», pronunciandosi unanimemente contro il califfato. Ecco il documento, al cui testo unisco la riflessione di Ronald Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale.
Déclaration du Conseil pontifical pour le Dialogue
interreligieux (12.08.2014)
Il mondo intero
ha assistito stupefatto a quella che è ormai chiamata "la restaurazione
del Califfato", che era stato abolito il 29 ottobre 1923 da Kamal Ataturk,
fondatore della Turchia moderna.
La contestazione
di questa restaurazione da parte della maggioranza delle istituzioni religiose
e politiche musulmane non ha impedito ai jihadisti dello "Stato
Islamico" di commettere e di continuare a commettere atti criminali indicibili.
Questo Pontificio Consiglio, tutti coloro che sono impegnati nel dialogo
interreligioso, i seguaci di tutte le religioni, così come tutti gli uomini e
le donne di buona volontà, non possono che denunciare e condannare senza
ambiguità queste pratiche indegne dell’uomo:
- il massacro di
persone per il solo motivo della loro appartenenza religiosa;
- l’esecrabile
pratica della decapitazione, della crocifissione e dell’impiccagione di
cadaveri nelle piazze pubbliche;
- la scelta
imposta ai cristiani e agli Yazidi tra la conversione all'Islam, il pagamento
di un tributo (la jizya) o l’esodo;
- l’espulsione
forzata di decine di migliaia di persone, compresi i bambini, anziani, donne
incinte e malati;
- il rapimento di
ragazze e di donne appartenenti alle comunità Yazidi e cristiane come bottino
di guerra (Sabaya);
- la barbara
imposizione della pratica dell'infibulazione;
- la distruzione
dei luoghi di culto e dei mausolei cristiani e musulmani;
- l'occupazione
forzata o la profanazione di chiese e monasteri;
- la rimozione di
crocifissi e di altri simboli religiosi cristiani e di altre comunità
religiose;
- la distruzione
del patrimonio religioso e culturale cristiano di valore inestimabile;
- la violenza
abietta allo scopo di terrorizzare la gente per costringerla ad arrendersi o a
fuggire.
Nessuna causa può
giustificare tale barbarie e certamente non una religione. Si tratta di una
gravissima offesa all'umanità e a Dio che è il Creatore, come ha spesso detto
il Papa Francesco.
D’altra parte non
possiamo dimenticare che cristiani e musulmani hanno vissuto insieme – sia pure
con alti e bassi - nel corso dei secoli, costruendo una cultura della
convivialità e civiltà di cui sono orgogliosi. Del resto, è su questa base che,
negli ultimi anni, il dialogo tra cristiani e musulmani ha continuato e si è
approfondito. La situazione drammatica dei cristiani, degli Yazidi e di altre
comunità religiose numericamente minoritarie in Iraq esige una presa di
posizione chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto
musulmani, delle persone impegnate nel dialogo interreligioso e di tutte le
persone di buona volontà. Tutti devono unanimemente condannare senza alcuna
ambiguità questi crimini e denunciare l’invocazione della religione per
giustificarli. Altrimenti quale credibilità avranno le religioni, i loro
seguaci e i loro leader? Quale credibilità potrebbe avere ancora il dialogo
interreligioso così pazientemente perseguito negli ultimi anni?
I leader
religiosi sono inoltre chiamati ad esercitare la loro influenza sui governanti
per la cessazione di questi crimini, la punizione di coloro che li commettono e
il ripristino dello Stato di diritto in tutto il Paese, assicurando il rientro
di chi è stato cacciato. Ricordando la necessità di un’etica nella gestione
delle società umane, questi stessi leader religiosi non mancheranno di
sottolineare che sostenere, finanziare e armare il terrorismo è moralmente
riprovevole.
Detto questo, il
Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso è grato a tutti coloro che
hanno già levato la loro voce per denunciare il terrorismo, in particolare chi
usa la religione per giustificarlo.
Uniamo dunque le
nostre voci a quella di Papa Francesco: "Il Dio della pace susciti in
tutti un autentico desiderio di dialogo e di riconciliazione. La violenza non
si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace".
[Testo originale:
Francese - Traduzione di lavoro]
«Il silenzio sui cristiani ricorda quanto
successe agli ebrei»
Perché il mondo tace mentre i cristiani sono
sterminati? In Europa e negli Stati Uniti abbiamo assistito a dimostrazioni di
massa per la morte dei palestinesi, usati come scudi umani come copertura per
il lancio di razzi da parte delle organizzazioni terroristiche di Gaza. L’Onu
fa le sue indagini e indirizza la sua attenzione solo su Israele. Ma il
terribile massacro di migliaia e migliaia di cristiani nei modi più barbari è
stato accolto con assoluta indifferenza.
Le comunità cristiane del Medio Oriente e di
parte dell’Africa centrale stanno scomparendo più o meno allo stesso modo nel
quale in Europa ottanta anni fa gli ebrei furono uccisi o si diedero alla fuga.
Poche proteste si levarono sulle campagne di epurazione naziste del 1930 prima
che fosse troppo tardi, e come allora, il silenzio di oggi è altrettanto
assordante. Gli storici guarderanno a questo periodo chiedendosi se le persone
avessero veramente perso la ragione. Pochissimi i giornalisti che hanno potuto
testimoniare in Iraq l’ondata di terrore simil-nazista che sta invadendo il
Paese. Le Nazioni Unite sono state per lo più immobili. I leader mondiali
sembrano essere impegnati in altre questioni in questa strana estate del 2014.
Non ci sono «flottiglie» umanitarie in viaggio verso la Siria o l’Iraq. Perché
le grandi celebrità e le invecchiate stelle del rock non sono preoccupate
quando sono i cristiani ad essere macellati?
Lo Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis)
non è una semplice coalizione di gruppi jihadisti. Si tratta di una vera e
propria forza militare che è riuscita a conquistare gran parte dell’Iraq, con
un modello economico vincente che diffonde in punta di lancia dispensando
omicidi a sangue freddo. L’Isis prende i soldi dalle banche ed usa le
estorsioni vecchio stile per finanziare la sua macchina di morte. Sistema che
lo ha reso forse il più ricco gruppo terroristico islamico al mondo. Ma dove
eccelle veramente è negli eccidi a sangue freddo che rivaleggiano con le
carneficine medievali. Lungo il suo cammino l’obiettivo principale sono
diventate tutte le comunità cristiane incontrate, purtroppo molto numerose.
Un uomo d’affari caldeo-americano di nome Mark
Arabo intervistato dalla Cnn ha descritto questa scena in un parco di Mosul, «…
decapitano bambini e mettono la loro testa su dei bastoni. Per ogni nuovo
bambino ucciso, altre madri violentate e uccise, e i padri impiccati».
Ora, dove sono le proteste? Dove sono le grandi
manifestazioni di massa con i cartelli e gli slogan urlati? Dov’è la rabbia e
lo sdegno?
In un discorso davanti a migliaia di cristiani a
Budapest lo scorso giugno, ho fatto una promessa solenne: così come non rimarrò
in silenzio di fronte alla crescente minaccia dell’antisemitismo di destra e
sinistra in Europa e Medio Oriente, non sarò mai indifferente alla sofferenza
cristiana. Ebrei e cristiani leggono la stessa Bibbia, la loro religione
condivide la stessa base comune e ora, purtroppo, essi condividono un tipo di
sofferenza che li ha presi di mira per una e una sola ragione: muoiono a causa
delle loro convinzioni. Muoiono perché sono stati presi di mira da assassini,
perché sono indifesi e perché il mondo è indifferente alle loro sofferenze.
Ma questo può e deve essere fermato. Invito i
leader mondiali a riunirsi insieme, non per parlare, ma per agire. Abbiamo
bisogno di una coalizione formata da uomini e donne di buona volontà per unirsi
e fermare questo abominio. Non siamo impotenti. Scrivo questo come cittadino
della più forte potenza militare sulla terra. Scrivo questo come leader ebreo
che si preoccupa per i suoi fratelli e sorelle cristiani. Questa ondata di
morte deve essere fermata. Ora.
Ronald Lauder, presidente del Congresso ebraico
mondiale; Corriere della sera, 21 08 14